Dovremmo tutti unire la nostra voce, la voce delle democratiche e dei democratici, la voce di chi ama e rispetta le istituzioni, la voce di chi ha un’idea alta e nobile della politica per chiedere al Presidente della Repubblica di posticipare di qualche giorno lo scioglimento delle Camere e di consentire al Senato di discutere la legge sullo Ius Soli.
Come noto esiste un accordo tra tutte le principali forze politiche perché le prossime elezioni si tengano il 4 marzo 2018. Un breve rinvio di due o tre giorni non comprometterebbe in alcun modo il rispetto di tale scadenza: il decreto di scioglimento deve essere pubblicato non prima di 45 e non oltre 70 giorni dalla data delle elezioni. Se dunque ciò avvenisse il 12 o il 13 gennaio (o anche la settimana successiva) ci sarebbe tutto il tempo per andare a votare il 4 marzo e rispettare il dettato costituzionale e legislativo.
Perché non si è votato prima? Perché bisognava approvare la legge di bilancio. Il rischio della mancata approvazione era concreto perché una parte delle forze politiche che costituiscono la maggioranza ha dichiarato di non volere più lo ius soli (pur avendolo votato in prima lettura alla Camera). Lo sfaldamento della maggioranza che sostiene il Governo prima dell’approvazione della legge di bilancio – in assenza di una maggioranza alternativa – sarebbe stato un problema enorme.
Per chi non lo sapesse la legge di bilancio è al tempo stesso la colonna vertebrale, l’apparato cardiocircolatorio e il sistema nervoso centrale di tutto il Paese. Senza di essa sarebbe stato necessario ricorrere all’esercizio provvisorio, in pratica un respiratore artificiale, un meccanismo della durata massima di quattro mesi (alla vigilia delle elezioni!) che avrebbe condizionato o persino paralizzato la vita economica di milioni di italiani e in particolare di coloro la cui sussistenza dipende da atti della Pubblica Amministrazione (pensionati, pubblici dipendenti, fornitori della P.A. ….).
Mettere a repentaglio l’approvazione della legge di Bilancio sarebbe stato, questo sì, un atto di estrema irresponsabilità politica. Per lo stesso motivo era impensabile chiedere al Governo di porre la questione di fiducia sapendo per di più che non l’avrebbe ricevuta e che ciò avrebbe creato una crisi gravissima in un momento delicato di transizione della nostra storia politica.
Oggi la situazione è cambiata. I conti dello Stato sono stati messi in sicurezza. Il Governo si accinge a rimanere in carica, dopo lo scioglimento delle Camere, solo “per il disbrigo degli affari correnti”. Il Senato dovrebbe essere messo in condizione di discutere e votare una legge così importante e dibattuta nel Paese come lo Ius Soli.
Certo, quanto avvenuto il 23 dicembre quando è mancato il numero legale, non è stato una bella pagina della storia parlamentare. Questo sia per il comportamento di molti colleghi francamente troppo frettolosi nel lasciare l’emiciclo dopo la votazione del Bilancio (molti mi hanno detto di non avere compreso che si sarebbe votato ancora) sia per quello della Presidenza che oltre a non aver ben chiarito l’ordine dei lavori non ha tentato neppure una seconda chiama (il Regolamento ne prevede tre). Di fatto si è creata una grande confusione e tutti i gruppi politici (compresi quelli che oggi si affrettano a puntare il dito contro gli altri) hanno avuto i loro assenti.
Ritengo, ad ogni modo, che abbiano ragione coloro che sostengono che un tema così importante non avrebbe dovuto essere discusso in uno scampolo di tempo striminzito in coda a tutto il resto e che invece esso vada affrontato apertamente e lealmente nell’ambito di un dibattito parlamentare franco e trasparente. Non è detto che lo ius soli alla fine venga approvato ma è giusto che se ne faccia una discussione in cui prevalgano le considerazioni di merito anziché le furbizie. Poi ciascun parlamentare si assumerà la responsabilità delle proprie scelte di fronte agli italiani e alla propria coscienza.
Il Senatore Calderoli, per bloccare la discussione e sotterrare la legge, ha presentato 50.000 emendamenti. Ciò è stato possibile grazie ad un software, un algoritmo del quale egli va particolarmente fiero che riesce ad interpolare automaticamente le parole creando migliaia e migliaia di varianti. Ovviamente né il Senatore Calderoli né gli altri suoi colleghi che li hanno sottoscritti, hanno la benché minima idea di cosa ci sia scritto negli emendamenti. Ha fatto tutto il computer. Per leggerli tutti ci vorrebbero settimane e settimane, probabilmente mesi, immaginiamo per discuterli e per votarli….
Questa è una situazione che umilia il Parlamento e lo ridicolizza. Se si dovesse arrivare a discutere in aula i 50.000 emendamenti del sen. Calderoli sarebbe come obbligare i rappresentanti del popolo a discutere per mesi con un computer, una assoluta parodia della democrazia, un modo di lasciare il Parlamento ostaggio di un algoritmo il che non è in alcun modo tollerabile. Dunque il Presidente del Senato deve dichiarare inammissibili tutti i 50.000 emendamenti generati dal computer di Calderoli l’unico scopo dei quali è quello di impedire una effettiva discussione e che dunque hanno una portata per certi aspetti eversiva.
Esiste un precedente in epoca recente molto preciso che consente, anzi impone, al Presidente Grasso una tale dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità. Si tratta della decisione con la quale vennero estromessi dal dibattito sulla riforma costituzionale i quasi 85 milioni (nessuno ne conosceva neppure il numero) sempre presentati dal senatore Calderoli grazie al suo algoritmo. Anche allora, come oggi, si pose il problema della compatibilità di un tal numero di emendamenti con il regolare svolgimento del dibattito parlamentare e si arrivò giustamente alla decisione di escluderli.
Il Presidente del Senato consenta anche oggi ai parlamentari di discutere e di prendere posizione su questa legge così importante per il futuro dell’Italia, consenta a chi è favorevole di spiegare le ragioni per le quali ritiene che ciò sia un bene per il nostro Paese e a chi è contrario perché sarebbe un male. Consenta ai cittadini di farsene una idea informata. Che però si discuta. Apertamente. Lealmente. Nel merito. Ciò darebbe decoro alla istituzione parlamentare e imporrebbe una assunzione di responsabilità da parte di tutti.
Io sono favorevole allo Ius soli e voglio brevemente argomentare i motivi per i quali ritengo che ciò sia non solo giusto ma anche nell’interesse del nostro Paese e di tutti gli italiani. Per farlo non utilizzerò l’ argomento un po’ emotivo dell’accoglienza-a-qualunque-costo. Anch’io ritengo che non è possibile un’accoglienza indiscriminata e che essa trova il limite nella nostra capacità di integrazione. Sceglierò l’argomento prediletto dagli avversari di questa legge: quello della sicurezza. Il Senatore Calderoli, ad esempio, è giunto ad affermare in aula nei giorni scorsi che bisognava bloccare la legge per “impedire l’attentato” (quale attentato egli non ha ritenuto però di farci sapere). Al di là dell’assurdità di tale affermazione è giusto riconoscere che si è diffuso nel nostro Paese un senso di inquietudine e insicurezza con i quali bisogna fare i conti. Certo, si dirà, esso è stato diffuso e alimentato ad arte da quelle forze politiche fanno leva sul sentimento di paura e persino di panico (“impediamo l’attentato”) per trarne un profitto elettorale. Però esso ormai esiste fra di noi e dobbiamo farci i conti. Come? in primo luogo ribadendo che il panico e la paura sono sempre la peggiore risposta. E’ invece necessario ragionare e informarsi.
Lo ius soli non attribuisce la cittadinanza a chiunque arrivi sul nostro territorio. Riguarda invece bambini fino ai 12 anni che siano nati in Italia o che qui vi abbiano passato la maggior parte della loro vita, che qui abbiano studiato a scuola per almeno cinque anni. Essi devono essere figli di chi, a sua volta, abbia un permesso di soggiorno di lungo periodo in corso di validità e che per questo motivo sia soggiornante in Italia da almeno cinque anni (per motivi di natura burocratica di fatto molto di più), abbia un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, disponga di un alloggio che abbia i requisiti di idoneità previsti dalla legge, abbia superato un test di italiano.
Dunque non basta essere nati in Italia (come sembrerebbe dall’espressione troppo semplificata di “Ius soli”) ma bisogna che sia i genitori che i figli abbiano compiuto un lungo e serio percorso di integrazione.
Di fatto sono bambini, ragazzi per i quali la cultura e la lingua italiana definiscono più di ogni altro la loro identità, hanno frequentato le medesime scuole dei nostri figli, i medesimi giardinetti, le stesse parrocchie. Hanno visto gli stessi film e fatto la medesima raccolta di figurine. Se dovessero essere deportati o espulsi dove andrebbero? In un Paese d’origine che non hanno mai conosciuto, di cui non conoscono nulla e che nulla conosce di loro? La verità è che sono naturalmente già italiani, a prescindere dal nostro riconoscimento di cittadinanza. Perché far pagare a loro le nostre paure? perché farli sentire italiani di serie B?
Davvero questo ci rende più sicuri? Davvero questo consentirà di prevenire l’attentato? E’ evidente che non è così. La strada della sicurezza si chiama integrazione. Chi si sente integrato, accettato da una comunità ha maggiori possibilità di chi si sente escluso di sentirsi parte di un comune destino. L’integrazione favorisce un processo di assunzione di responsabilità verso la comunità e la società che accoglie. E’ l’ospite che diventa custode.
Se guardiamo invece a ciò che è successo negli altri Paesi europei dove ci sono stati attentati terroristici vediamo che essi si sono verificati proprio laddove il processo di integrazione non si è compiuto, là dove sono state creati creati dei ghetti (Mollenbek in Belgio, alcune periferie di Parigi o di Baltimora, ad esempio), là dove il risentimento, il senso di frustrazione, il rancore per l’esclusione e l’emarginazione sono stati detonatori di un sentimento di ribellione e rivalsa.
Vogliamo davvero seguire questi esempi? Vogliamo far crescere il sentimento di esclusione in tanti ragazzi che semplicemente chiedono di essere parte piena della nostra società? Vogliamo discriminare tra i ragazzi che frequentano allegramente le nostre scuole e imporre ad alcuni di loro lo stigma di potenziali terroristi? Vogliamo escluderli dal nostro consesso in ragione delle nostre paranoie? Vogliamo tenerli in una zona d’ombra pensando che non vedendoli essi non esistano?facciamolo e avremo caricato la molla di una bomba a orologeria che scoppierà da qui a pochi anni. la bomba della rabbia, del disprezzo, della ribellione. E speriamo che sia solo quella. La strada dell’esclusione è quella che ci porterà un futuro carico di discordia, timore ed insicurezza.
Chi oggi predica l’esclusione si rende corresponsabile dell’ingiustizia e della ribellione di domani.
Parliamo dunque oggi di questa legge: è importante per il nostro futuro, è possibile, è giusto, è nel nostro interesse.
Roberto Cociancich
Senatore e responsabile Dipartimento PD Cooperazione Internazionale