Ieri il Senato ha respinto la proposta di concedere l’autorizzazione all’arresto del Senatore Azzollini ex-presidente della Commissione Bilancio (si è dimesso alcune settimane fa) accusato dalla Procura di Trani di essere corresponsabile del dissesto di una clinica privata gestita da un istituto di suore. Ad Azzollini non viene contestato di avere preso soldi (anzi lo stesso PM esclude che ciò sia avvenuto) ma di avere operato per avere consenso e voti alle elezioni (che peraltro non sono arrivati avendo poi perso alle elezioni locali).
Il Senato non era chiamato a valutare la colpevolezza o l’innocenza di Azzollini ma se vi era un fumus persecutionis cioè se fosse legittimo il sospetto che i magistrati avessero ecceduto nel valutare gli elementi a suo carico giungendo a chiedere la restrizione della sua libertà personale (bene costituzionalmente protetto) e una alterazione della volontà popolare come uscita dalle urne (anche questo un bene costituzionalmente protetto) in mancanza di prove o quantomeno indizi sufficientemente univoci da giustificare tale sacrificio.
Personalmente, fino a pochi giorni fa, ero favorevole alla concessione dell’arresto ritenendo che bisognava dare un segnale al Paese di assoluta intransigenza rispetto al malaffare e tutti quei comportamenti grigi e ambigui che sono il cancro della democrazia del nostro Paese. Poi ho letto le carte, le relazioni, i documenti (sono tutti disponibili sul sito del Senato), ho ascoltato le relazioni e si è fatta in strada in me l’impressione che stavamo sacrificando sull’altare di sia pur giusti principi una persona senza che ve ne fossero i presupposti. Non è stata una scelta facile. Ad un certo punto è stato chiaro che votare a favore di Azzollini avrebbe comportato l’attirarsi addosso una caterva di insulti e di incomprensioni ma anche la certezza che la rettitudine della propria coscienza non può essere condizionata dai sondaggi o dagli umori della piazza. A volte però ci sono prezzi da pagare che sono tanto più salati quanto più alti sono i valori che si intendono tutelare. Il senso di giustizia che è in me mi ha spinto a votare contro l’arresto. Malgrado non abbia nessuna simpatia per il partito (NCD) di cui Azzollini fa parte, malgrado non mi piacciano nemmeno un po’ quelli che sono andati immediatamente a congratularsi con lui, malgrado non mi piaccia il suo modo di fare e le cose che dice . Malgrado gli articoli di giornale che oggi ipotizzano retroscena e scambi politici che fanno rabbrividire ma di cui non ho traccia. Altri colleghi hanno preferito fare diversamente e io li rispetto. Alcuni fra loro si sono precipitati a fare dichiarazioni ai giornali per dire: “Ehi, gente, io non c’entro, ho votato contro! Guardate bene, eh, non sparate io sono duro e puro, sono dei vostri…”. Francamente mi dispiace per loro, così come mi dispiace per tutti coloro che si sono espressi senza aver letto minimamente le carte.
Va detto infine che Azzollini non è stato affatto “salvato”, egli va comunque incontro al suo process; se sarà colpevole andrà in galera come è giusto che sia. L’effetto della decisione di ieri riguarda solo una misura cautelare (gli arresti PRIMA del processo).
Per dare a ciascuno di voi la possibilità di farsi una idea nel concreto metto a disposizione una serie di documenti che mi sembrano rilevanti.
Ecco innanzitutto qui di seguito la relazione del Senatore Stefano, presidente della Giunta delle immunità che ha proposto di concedere l’autorizzazione agli arresti domiciliari. Segue la relazione del Senatore d’Ascola che, con argomentazioni che ho trovato molto brillanti, vi si è opposto. Inoltre il testo dell’autodifesa del Senatore Azzolini.
Per dovere di completezza aggiungo anche l’intervento del Senatore Giarrusso (M5S) perché é bene avere chiari anche gli argomenti di chi era favorevole all’arresto.
Per finire alcuni commenti che condivido: quello del Senatore Giorgio Tonini, quello del Senatore Pietro Ichino e quello di Alessandro Ferrari che ci dovrebbe far riflettere tutti e quello di Stefano Ceccanti (costituzionalista ed ex senatore PD).
STEFANO, relatore. Gentile Presidente, onorevoli senatori, mi introduco nel ragionamento che ha sostenuto la mia proposta alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e che oggi, in seguito alla sua approvazione, chiama in causa quest’Assemblea muovendo opportunamente dal senso delle riflessioni che hanno sin qui accompagnato i lavori dell’organo che ho l’onore di presiedere.
La legge 20 giugno 2003, n. 140, recante «Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato», all’articolo 3 rafforza e credo spieghi bene il senso della insindacabilità giudiziale dei membri del Parlamento nella parte in cui spiega che «L’articolo 68, primo comma, della Costituzione si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento».
La tutela della funzione parlamentare e il diritto costituzionale dello stesso ad esprimere un proprio punto di vista in tutte le forme in cui la funzione si esprime contengono il senso della guarentigia punitiva e della compressione dell’ordinaria tutela e procedura giurisdizionale, la cui restrizione viene dunque attuata, a queste condizioni, in modo proporzionale allo scopo per cui la limitazione medesima si realizza.
Desidero esprimere il concetto in un altro modo. L’assunzione di una posizione in senso lato politica non può essere sindacata e sanzionata e, dunque, non può essere perseguita dall’autorità giudiziaria, la cui ordinaria competenza si arresta – tanto è rilevante tale libertà parlamentare – ben prima dell’effettiva e conclamata persecuzione, ma già alle soglie del fumus, della parvenza di persecuzione politica. Sia questa del magistrato stesso, animato da dissenso personale, o di un terzo estraneo il quale veicoli la propria istanza punitiva e persecutoria attraverso l’impulso all’obbligatoria iniziativa penale, il membro del consesso parlamentare non può vedere limitata la propria funzione rappresentativa a causa di una iniziativa procedimentale che trae origine da un probabile o possibile intento persecutorio. Il fumus persecutionis è dunque esattamente il recinto logico delle riflessioni che devono accompagnare il ragionamento anche in questo consesso.
È ferma convinzione della Presidenza della Giunta, così come in più occasioni condivisa anche dalla sua maggioranza, che l’organismo di garanzia parlamentare (perché tale è) non possa in alcun modo qualificarsi come organismo di giurisdizione e non possa quindi in alcun modo addivenire ad alcun sindacato processuale ulteriore rispetto a quello previsto dal codice di procedura penale, né possa in alcun modo cedere alla tentazione di configurare un privilegio sistemico per il parlamentare, tanto odioso quanto non facilmente spiegabile dal punto di vista sia costituzionale, che sovranazionale.
Venendo al caso che oggi ci chiama ad esprimerci, la corposa richiesta proveniente dalla magistratura inquirente e decidente, assistita da significativa documentazione probatoria, rappresenta un punto di vista logico e giuridico meritevole di attenzione, tanto quanto l’altrettanto ragionevole richiesta del collega Azzollini di vedere accolte le proprie argomentazioni difensive, supportate da un ragionamento alternativo a quello contenuto nella richiesta di misura cautelare degli arresti domiciliari.
Le due verità (quella, per così dire, accusatoria e quella difensiva) possiedono una dignità ed una ragionevolezza che, per quello che a me pare, né la Giunta, né l’Assemblea possono in alcun modo sindacare nelle forme di un improbabile accertamento di merito. A meno di non volere accedere alla impostazione che la Giunta del Senato, anche in epoca recente, ha già collegialmente più volte ritenuto di non dover condividere: natura giurisdizionale, autodichia, regole del giusto processo, terzietà e conseguente astensione o ricusazione, sono temi che già si sono affacciati nella riflessione, prima in Giunta e poi in Assemblea, e risolti nei termini di una visione d’insieme avversa all’idea di una giurisdizione speciale, di un grado di giudizio parallelo a quello ordinario, di un secondo tempo capace addirittura di sovrapporsi e neutralizzare il primo tempo giurisdizionale.
La rivisitazione logica e giuridica del punto di vista cautelare è naturalmente possibile, ma è affidata, per il parlamentare quanto per il comune cittadino, alle forme legittime ma autonome di discussione processuale – dal riesame fino al grado di legittimità – quali appuntamenti procedurali di un giusto processo e di un giusto equilibrio fra punti di vista differenti in materia così delicata, qual è quella della libertà personale dei cittadini.
All’Assemblea del Senato, e prima ancora alla Giunta, compete invece una lettura d’insieme volta a comprendere l’esistenza o meno di una persecuzione politica espressa nelle forme di una dinamica giudiziaria, eventualmente viziata dal fumus e in questo senso, solo in questo senso, insincera e intollerabile e, dunque, censurabile dal nostro controllo parlamentare.
Una volta di più, come relatore e Presidente della Giunta, sono convinto di dover sfuggire alla logica binaria del colpevole versus innocente, accusa versus difesa, e debba invece condurre il ragionamento alla sola ed esclusiva valutazione espressa nel sintagma che traduce il senso della tutela costituzionale da cui ho preso le mosse: nulla di più, nulla di meno del fumus persecutionis.
Questo particolare angolo di osservazione spiega anche quello che, altrimenti, potrebbe apparire un innaturale disequilibrio dialettico, la facoltà cioè del parlamentare di esporre il proprio convincimento – quanto appunto alla presenza del fumus – in assenza di un garantito contraddittorio con la parte alla quale si addebita la parvenza di persecuzione, a riprova di una traccia logica che contiene il senso del sindacato giuntale e senatoriale, interessato alla funzione parlamentare, nel caso in questione raccontata dal senatore Azzollini, e dalla derivata ostilità, affidata anch’essa al racconto del senatore interessato, di cui appunto l’iniziativa giudiziaria sarebbe diretta o indiretta derivazione. Non vi è scambio di punti di vista, non vi è dibattito fra colui che perseguita e colui che è perseguitato, non vi è spazio per prova contraria; il senatore può ampiamente dire e sostenere tutto quello che ritiene rilevante sulla subita persecuzione, sapendo di dover documentare il proprio punto di vista ed offrirlo unilateralmente al dibattito.
È così importante la posta in giuoco, ovvero la libertà politica e parlamentare, da essergli consentita la più ampia dimostrazione di una persecuzione non altrimenti fronteggiabile, se non con l’ausilio di un collegio di colleghi, e sottolineo ancora questi due termini: «collegio» e «colleghi».
In tal senso, a rileggere e riascoltare la difesa del senatore Azzollini, il procedimento di cui siamo chiamati ad occuparci, nella particolare forma di autorizzazione alla richiesta di custodia domiciliare, sarebbe legato alla persecuzione da questi subita in ragione di alcune iniziative a lui riconducibili: in primo luogo, un particolare indirizzo politico legislativo a favore dell’ente; in secondo luogo, una ostilità dell’ufficio procedente in conseguenza di un diniego per una diversa indagine, anch’essa curata dalla medesima procura; in terzo luogo, un’anomala vicinanza del commissario straordinario, contiguo all’idea accusatoria, con professionista legato da rapporto di parentela con altro magistrato, appartenente al medesimo ufficio di procura; in quarto luogo, la presentazione da parte del senatore Azzollini di una denuncia penale e un esposto al Consiglio superiore della magistratura nei confronti di magistrati che, nella diversa e citata indagine sempre a suo carico, avrebbero esercitato le proprie funzioni in maniera disciplinarmente anomala e, persino, rilevante dal punto di vista penale; infine, una personale ostilità del principale testimone d’accusa, veicolata in dichiarazioni accusatorie insincere e contraddittorie. In verità, la prova di tale dichiarata persecuzione resta confinata in una documentazione, a mio parere piuttosto fragile e forse esposta a plateali contraddizioni logiche. Dunque affronterò brevemente i punti che ho appena elencato. Iniziamo dall’indirizzo legislativo a favore dell’ente, patrocinato, secondo l’accusa, dal senatore Azzollini, che nell’idea accusatoria rappresenta solo una parte della complessa dinamica di cui si sospetta l’anomalia e dunque è ben lontana, a mio avviso, dal sostanziare un motivo di risentimento e di persecuzione attuata per altre vie. Detto in altro modo, il sindacato legislativo – ammesso che possa esercitarsi o venga di fatto esercitato – è connesso esattamente al tipo di indagine svolta dai pubblici ministeri inquirenti, i quali ritengono di ritrovare elementi di conferma di un punto di vista accusatorio interno al processo per cui è causa e che esprime, semmai, la ricerca di una logica d’insieme, e non l’occasione di una persecuzione per via giudiziaria. Resta inverosimile, pertanto, l’intento persecutorio, quanto l’idea di poter minimamente sindacare direttamente la scelta legislativa, sulla quale non può immaginarsi alcun controllo di legalità penalistica.
Rispetto, invece, alla presunta ostilità dell’ufficio procedente, credo sia opportuno evidenziare che la cosiddetta e nota indagine sul porto di Molfetta appartiene in realtà – così come la richiesta di uso delle intercettazioni – a magistrati diversi da quelli che hanno chiesto l’applicazione della di oggi misura cautelare e parimenti diverso risulta il gip che ha firmato la ordinanza cautelare, il che esclude di poter ritenere che si palesi un rapporto di causa ed effetto fra l’una e l’altra l’iniziativa processuale, a meno di non addivenire all’incredibile deduzione di ritenere che l’insoddisfazione di alcuni magistrati possa essere la causa di una soddisfazione ricercata da altri, in una incredibile visione corporativa, palesemente antitetica all’idea di servizio e ricerca della verità, che guida – salvo prova contraria – le iniziative processuali dei singoli magistrati.
Allo stesso modo, rispetto all’anomala vicinanza tra il commissario straordinario e il professionista parente di altro magistrato, ho avuto già modo di rilevare in Giunta che il sostituto procuratore, il cui fratello avrebbe ricevuto incarico legale dal commissario straordinario, è anch’egli figura estranea al procedimento penale del quale ci occupiamo, né sinceramente si può sostenere che l’incarico affidato a professionista esterno può incontrare qualche chiave di lettura che ci consegna elementi certi a favore del supposto fumus persecutionis.
Ancora, in questa sede mi limito ad evidenziare che rispetto alla denuncia penale e all’esposto al Consiglio superiore della magistratura, i magistrati attratti nelle segnalazioni presentate dal senatore Azzollini – e a quanto pare non seguite da iniziative concludenti – sono anch’essi diversi dai due pubblici ministeri firmatari della richiesta e dal gip firmatario dell’ordinanza. C’è di più, semmai ve ne fosse bisogno, poiché l’argomento incontra un’ulteriore e definitiva smentita, nel punto di vista espresso dal tribunale del riesame, la cui composizione collegiale e persino autorevole allontana la già remota possibilità di una congiura giudiziale viziata da fumus persecutionis, che avrebbe pervaso, a questo punto, il giudizio di ben sei magistrati, gli ultimi tre – quelli del riesame – distanti anche topograficamente dalle vicende di cui alla presente riflessione, poiché appartenenti ad altra procura.
Infine, sulla presunta ostilità del principale testimone d’accusa, il corposo supporto probatorio di quasi 20 faldoni e migliaia di documenti, posto a base della richiesta cautelare – naturalmente leggibile in chiave accusatoria, tanto quanto in chiave difensiva, e naturalmente sindacabile dal primo ed immediato controllo di legalità dinanzi al tribunale del riesame, oltre che dalla successiva verifica di legittimità – consente di guardare al fumus persecutionis del citato testimone d’accusa come solo uno dei tasselli argomentativi sui quali è costruita la richiesta sulla quale siamo chiamati ad esprimerci.
Questa è la ragione per cui, per quanto argomentato in questa mia analisi sinteticamente, ma spero in maniera esaustiva, non intravedendo il richiesto fumus persecutionis, la Giunta ha approvato la mia relazione, favorevole alla concessione dell’autorizzazione all’esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Trani nei confronti del collega, senatore Antonio Azzollini.
PRESIDENTE. Chiedo al relatore di minoranza, senatore D’Ascola, se intende integrare la relazione scritta.
D’ASCOLA, relatore di minoranza. Signor Presidente, credo che si debba sgombrare il campo in via del tutto preliminare da un equivoco che potrebbe in un certo senso falsare la valutazione del Senato. Mi riferisco alla circostanza che l’intervenuto giudizio del tribunale della libertà possa porre i senatori nella condizione di non poter diversamente decidere da quanto la magistratura abbia già fatto e ciò non soltanto per il paradosso logico verso il quale una simile valutazione ci spingerebbe, ma anche per tutta una serie di considerazioni volte alla conservazione delle funzioni di questa Assemblea, della loro effettività, ma soprattutto della necessità di dare un contenuto a quel giudizio che l’articolo 68 della Costituzione e la legge n. 140 del 2003 rimettono all’Assemblea.
Ho parlato di paradosso logico: se il tribunale della libertà avesse revocato l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari è chiaro che il Senato e, prima ancora, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari non avrebbero avuto alcuna possibilità di intervenire. Dovremmo giungere tuttavia alla medesima conclusione se sposassimo l’interpretazione avversata, ossia se, avendo deciso il tribunale della libertà, noi dovessimo semplicemente rimetterci a quella valutazione: nell’un caso come in quello opposto il Senato non avrebbe alcuna possibilità di intervenire ed il giudizio sarebbe rimesso esclusivamente alla magistratura. Non si tratta certo di togliere nulla a quella necessaria ed ineliminabile valutazione, ma di dare un senso a quel principio di conservazione delle funzioni che a noi sono rimesse e a quell’articolo 68 della Costituzione che stabilisce che, comunque l’autorità giudiziaria abbia deciso, noi dobbiamo poi compiere quel giudizio politico che si condensa nell’articolo 68 stesso.
E allora l’intervento dell’autorità giudiziaria, che noi rispettiamo massimamente, non è preclusivo di una diversa valutazione da parte nostra solo che si valuti il punto essenziale sulla questione costituito dalla differenza di oggetto dei due giudizi: se i due giudizi hanno diametri differenziati, nella differenziazione dell’oggetto del giudizio si coglie per l’appunto l’autonomia.
Passando al tema che è stato trattato nella relazione da maggioranza, si è parlato di fumus persecutionis. Tralascio le vicende che darebbero corpo al fumus persecutionis. Però mi sia consentito osservare che noi dobbiamo dare un contenuto, dobbiamo dare sangue a questa categoria. Il fumus persecutionis, nella tradizione della nostra giurisprudenza parlamentare, si articola in tre sue diverse e alternative forme. La prima è quella che si dice puramente indicativa, ma assolutamente irreale quanto al caso della sua concreta realizzazione, di un intento persecutorio doloso, che costituirebbe ovviamente di per sé un fatto di reato. C’è poi un fumus persecutionis che si intende esistente anche allorquando esso comporti modalità e tempi, nell’esercizio dell’azione penale, che ingenerino il sospetto di un rischio e di una possibilità, anche astratta, di intento persecutorio, anche per fatti incolpevoli. C’è infine l’ultima categoria, quella costituita da un fumus persecutionis retto e sostenuto da una manifesta violazione di legge e da un’infondatezza della richiesta proposta dall’autorità giudiziaria.
Come si vede, il fumus persecutionis è una categoria ampia, ma che ha la caratteristica di determinare comunque un accesso alla valutazione degli atti posti dall’autorità giudiziaria. Altrimenti non si capirebbe cosa possa mai significare valutazione sui tempi e sulle modalità dell’azione o valutazione sulla fondatezza dell’azione. Io scrivevo – e mi permetto in maniera molto sintetica di ripetere – che, se queste espressioni non possono certo significare una sorta di sindacato sull’attività dell’autorità giudiziaria (ossia pretendere di valutare la fondatezza, l’attendibilità e la storicità degli elementi probatori), comunque questa valutazione deve in qualche modo consentire una sorta di giudizio di legittimità, valutando l’adeguatezza, la congruità, la logicità, la completezza della motivazione e il rischio di eventuali violazioni di legge. Quindi si dà per certo quello che l’autorità giudiziaria ha scritto: il sindacato è limitato ad una valutazione che noi definiamo essere valutazione di legittimità (vizio di legge ovvero vizio di motivazione).
Ma il punto dal quale dobbiamo partire è il seguente. Il fumus persecutionis, che abbiamo descritto nelle sue tre alternative categorie, è l’elemento che risolve integralmente il giudizio rimesso all’Assemblea? Se noi non definiamo né la regola del giudizio, né l’oggetto del giudizio, è chiaro che non abbiamo una stella polare di riferimento e quindi dovremmo agire in maniera in qualche modo irrazionale, illogica, dettata da sensazioni e da valutazioni soggettive anziché da dati giurisprudenziali.
Sul punto noi abbiamo dei punti di riferimento certi, che si colgono non soltanto nella giurisprudenza della Giunta e dell’Assemblea, ma addirittura – e qui «addirittura» sottolinea l’importanza della pronuncia – in una nota sentenza della Corte costituzionale, la n. 110 del 1988. La Corte, proprio in materia di limiti del sindacato che si compie, ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione, per quanto riguarda il campo di applicazione della legge n. 140 del 2003, ha elaborato un concetto, quello di continenza, ossia la necessità di contenere al massimo i casi di privazione della libertà personale dei parlamentari, non certo perché la garanzia costituisca un privilegio soggettivo, ma perché in essa si condensa una garanzia oggettiva: la garanzia concernente l’interesse pubblico e collettivo al mantenimento dell’integrità del plenum.
Orbene, la Corte costituzionale (ma anche la nostra interna giurisprudenza parlamentare) ha affermato in maniera assolutamente chiara che il fumus non costituisce l’unico oggetto del giudizio che a noi è rimesso. Qualora dovessimo ritenere che il fumus persecutionis, sia pure nelle tre alternative forme che mi sono permesso di descrivere, fosse inesistente, ciononostante noi dovremmo compiere un ulteriore giudizio, quello che la Corte costituzionale e la nostra giurisprudenza identificano con la frase latina del quid pluris, ossia quell’elemento che valuti l’esatto punto di bilanciamento tra interesse punitivo ed interesse collettivo al mantenimento dell’integrità del plenum. Questa è l’affermazione che si ricava da una giurisprudenza costituzionale che separa i due aspetti: il fumus e, per dirla con un unico sostantivo, la inderogabilità dell’arresto.
Orbene, se queste sono le osservazioni che io mi permetto di fare, se qui si tratta di decidere se l’arresto del senatore Azzollini è davvero inderogabile in virtù della necessità a noi esclusivamente rimessa di garantire la inalterabilità del plenum, dobbiamo essere chiari nel dire che l’autorità giudiziaria non poteva agire diversamente.
La richiesta di arresti domiciliari nei confronti del senatore Azzollini, sul versante separato di quanto è rimesso all’autorità giudiziaria, inevitabilmente conduceva ad una richiesta simmetrica di arresti domiciliari. Come avrebbero potuto quei giudici chiedere e disporre l’arresto di due religiose e di altri cittadini e poi loro dire autonomamente, in violazione di un principio di uguaglianza fra i cittadini: «il senatore Azzollini, a differenza degli altri cittadini, non poteva essere arrestato»?
Ma questo, onorevoli colleghi, è un punto di debolezza di chi vi chiede di autorizzare l’arresto del senatore Azzollini, perché questa valutazione è esclusivamente interna agli interessi del processo. Denota soltanto un versante, un ambito dimostrativo del come la magistratura si deve necessariamente condurre, ma ancora non ci dice nulla sul separato versante, a noi esclusivamente rimesso, di come dobbiamo condurci per dare contenuto, senso, significato ad una norma che dice che noi dobbiamo, malgrado tutto, autorizzare la privazione della libertà personale del senatore Azzollini, quell’articolo 68 della Costituzione per l’appunto – e torno qui circolarmente alla parte iniziale del mio discorso – l’arresto che non può essere deciso sulla base delle medesime componenti che hanno guidato il giudizio dell’autorità giudiziaria perché altrimenti tanto varrebbe – si diceva – che la Giunta non esistesse più, che l’Aula non intervenisse in alcun modo, che l’articolo 68 venisse immediatamente abrogato.
Allora, se questo è il parametro, dicevo, l’oggetto di un giudizio che, essendo per l’appunto differenziato quanto alla sua oggettiva componente, consente una valutazione differenziata nel rispetto di questa differenza di oggetto tra ciò che l’autorità giudiziaria ha detto e ciò che a noi è rimesso, io devo soltanto concludere enumerando, in maniera estremamente veloce, alcuni passaggi davvero importanti.
Gravi indizi: non descrivo i gravi indizi. Risparmio all’Aula il fastidio; i colleghi hanno, d’altronde, letto le relazioni di maggioranza e minoranza e conoscono i fatti. Però c’è un punto in materia di gravi indizi che non possiamo assolutamente trascurare, pena un’accusa giustificata di superficialità nella valutazione.
Si dice nella ordinanza che il senatore Azzollini avrebbe utilizzato i voti espressi (e qui ritorna il primo comma dell’articolo 68 della nostra Costituzione, e non a caso) per determinare vantaggi consistenti in una moratoria fiscale e contributiva a favore dell’ente ecclesiastico.
Sul punto posso svolgere tutta una serie di critiche in merito che mi permetto di ritenere, salva ovviamente la vostra diversa opinione sul punto, del tutto fondate.
Intanto, se si è trattato di una moratoria fiscale e contributiva, appare strano ritenere che essa possa avere determinato un’accelerazione e non un ritardo nel verificarsi dell’evento della sentenza dichiarativa di fallimento. Peraltro, il senatore Azzollini non è stato l’unico a votare quell’emendamento e quel complesso di disposizioni legislative. Altri l’hanno votato e non soltanto in Senato ma, in un sistema caratterizzato da bicameralismo perfetto, anche la Camera dei deputati ha condiviso tali valutazioni e allora l’affermazione non regge nemmeno il fatto. Peraltro quel provvedimento legislativo si indirizzava nei confronti di un intero territorio nazionale e di tanti altri soggetti destinatari che ne hanno beneficiato.
Comunque, al di là di tali considerazioni che sono, in un certo senso, subalterne, ve n’è una principale: il senatore Azzollini, per una sezione cospicua di quella ordinanza, risponde per i voti espressi nell’esercizio delle sue funzioni. Questo è un campo precluso, salvo che non intervenga l’autorizzazione. La Giunta avrebbe dovuto autorizzare anche questo versante: opinioni date e voti espressi, altrimenti vi è una immunità di diritto penale, non un banale istituto di diritto processuale, in virtù della quale è necessaria l’autorizzazione. Noi non siamo destinatari della norma penale incriminatrice se agiamo esprimendo voti ovvero manifestando le nostre opinioni. Abbiamo, quindi, un’intera sezione dell’ordinanza, un aspetto valorizzato anche nel corso del dibattito, che non può essere in alcun modo utilizzato.
Vi è un altro versante da tenere in considerazione – e qui sarò brevissimo – intervenuto con la legge n. 47 del 2015, appena votata in data 16 aprile, sulla custodia cautelare. Dicevo, e non credo di contraddirmi, che la nostra valutazione è in termini di vizio di legge. Noi non entriamo nel merito dei fatti. Non diciamo che un certo fatto è falso, non è vero o non è attendibile. Noi diamo per certo, storicamente, tutto quello che l’autorità giudiziaria ci dice. L’attualità è un requisito neointrodotto da una legge che abbiamo appena votato il 16 aprile del 2015. Tale legge dice che la custodia cautelare può disporsi soltanto se le esigenze cautelari sono attuali. Orbene, noi abbiamo qui un’ordinanza – è quello il materiale che utilizzo, dandolo per certo – la quale ci dice che il commissario straordinario è stato nominato nel dicembre 2013 ma che poi talune attività del senatore Azzollini, per quanto riferito dal commissario Cozzoli in maniera incerta (perché non ci dà coordinate temporali e fattuali e non rende dichiarazioni dettagliate al riguardo, tanto che le esigenze, su questo versante, non possono nemmeno considerarsi concrete perché non è concreto ciò che è incerto dal punto di vista storico), volte alla nomina di due commissari che avrebbero dovuto affiancarlo, si sarebbero comunque arrestate nel giugno 2014. Allora, noi diamo per vera questa circostanza ma opponiamo il rilievo contrario che tale circostanza fissi un’esigenza cautelare che risale ad un anno prima della richiesta di emissione di ordinanza di arresti domiciliari.
Dunque, onorevoli colleghi, non soltanto si tratta di un termine nell’intervallo del quale non succede nulla, a dimostrazione di un persistente interesse al controllo dell’ente religioso, ma abbiamo la certezza che ciò che era accaduto, dandolo per vero, si ferma ad un anno prima rispetto alla richiesta di cattura. Possiamo, con un interrogativo retorico, definire attuale una esigenza cautelare che si ferma ad un anno fa?
Questa stessa legge, che cito per la seconda volta, introduce un ulteriore elemento: tu, giudice, non puoi trarre esigenze cautelari da fatti che siano ritenuti gravi. Non può, insomma, l’esigenza cautelare esclusivamente consistere in una dichiarazione di gravità del fatto. Al di là di questo insuperabile, mi permetto io esclusivamente di considerarlo tale, limite in punto di legittimità e quindi di violazione di regole che si dovevano applicare a questo processo, è chiaro che accanto a quel commissario da oggi, anzi da quando il processo è sorto, noi abbiamo il procuratore della Repubblica con l’importanza del ruolo, degli strumenti che gli vengono rimessi e con la sua personale autorevolezza. Come potrebbe insomma Azzollini, nel richiamare quella lettera c) dell’articolo 274 (il rischio di recidiva) del codice di procedura penale, commettere fatti analoghi, se questo perimetro è presidiato in maniera così autorevole e soprattutto se le esigenze cautelari si fermano ad un anno fa e nel periodo intermedio Azzollini non ha commesso alcunché che possa attualizzare il rischio di una recidiva?
Avviandomi alla conclusione, signor Presidente, se lei mi avesse dato soltanto venti secondi e non questo più ampio margine di tempo, io avrei utilizzato un unico argomento, perché lapidario nel dimostrare la ragione in virtù della quale io mi permetto di chiedere al Senato di non autorizzare la richiesta di custodia cautelare agli arresti domiciliari del senatore Azzollini.
Noi abbiamo una richiesta di emissione di una ordinanza che dovrebbe ammettere il senatore Azzollini agli arresti domiciliari, ossia una ordinanza la quale individua esigenze cautelari del tutto attenuate: è nella legge, questa non è una pretesa del controrelatore (per qualificarmi con questa espressione), perché l’articolo 275 del nostro codice di procedura penale prescrive gli arresti domiciliari soltanto (ecco quel criterio di scelta tra le diverse misure che sono nella disponibilità del giudice) nel caso in cui le esigenze cautelari non siano insuperabili, non siano gravissime. È un piano di attenuazione, di affievolimento delle esigenze cautelari che consente la emissione del provvedimento di arresti domiciliari; altrimenti, se le esigenze cautelari sono forti e insuperabili altrimenti, c’è il carcere. Questo lo stabilisce la legge processuale penale, non lo dico io, ed è quindi evidente che noi dobbiamo parametrare quella inderogabilità, che non è un concetto astratto e che poi deve essere correlato al caso concreto, alla vicenda che si deve valutare. La inderogabilità sarebbe una formula vuota se si pretendesse – con una espressione – di definirla in via generalizzante: la inderogabilità è quella del caso per caso, della vicenda concreta. Insomma, ragionando in termini concreti, noi ci troviamo ad esprimerci su esigenze cautelari attenuate per legge e ritenute tali dal giudice. In questo caso nessuno si permette di esprimere valutazioni che vanno contro quella decisione, però noi siamo giudici di un’altra cosa: l’oggetto del giudizio a noi rimesso è differenziato. Allora possiamo davvero credere che esigenze cautelari attenuate siano inderogabili, se per legge e per valutazione del giudice sono state ritenute tali da poter essere derogate, per come in maniera inequivocabile testimonia il provvedimento?
Io ho davvero concluso e mi scuso con il Senato per averlo intrattenuto forse troppo a lungo. Credo che in queste mie considerazioni, soprattutto in ciò che mi sono permesso di scrivere per dare corpo, contenuto e sangue a questo mio intervento, ci siano tutte le ragioni che giustificano la mia richiesta di non concedere l’autorizzazione all’arresto del senatore Azzollini. (Applausi dai Gruppi AP (NCD-UDC) e FI-PdL XVII e della senatrice Repetti. Congratulazioni).
AZZOLLINI (AP (NCD-UDC)). Signor Presidente, innanzitutto ringrazio i relatori.
Devo fare una piccola premessa prima di svolgere il mio intervento: sono un parlamentare, un uomo delle istituzioni e, pertanto, mi atterrò esclusivamente al caso che mi occupa, alle persone che in esso sono coinvolte ed in particolare a verificare se gli elementi a mia conoscenza, e che ho portato a conoscenza della Giunta delle elezioni, possano integrare – a mio avviso lo fanno pienamente – gli elementi che evidenziano il fumus persecutionis ai miei danni, perché di ciò si parla in quest’Aula. Pertanto, mi atterrò esclusivamente all’ordinanza, a quanto mi riguarda. Nessun giudizio di carattere generale è desumibile dai fatti particolari che saranno oggetto della mia disamina e delle persone, siano esse magistrati, siano esse giudici, siano esse parlamentari o altri imputati che sono coinvolti in questa specifica questione.
La seconda questione è la seguente: non farò alcuna prospettazione difensiva, perché non è questa la sede e perché gli aspetti di diritto sono stati trattati – a mio avviso in maniera assolutamente efficace – dal senatore D’Ascola, per cui non interverrò in alcun modo su di essi. Mi limiterò, quindi, esclusivamente a leggere documenti prodotti dal magistrato inquirente e dal gip: documenti che ho presentato, che sono adeguatamente conosciuti e non altro. Le prospettazioni difensive ben avrei potuto farle, ma non è questa la sede.
In terzo luogo, naturalmente, signor Presidente e signori colleghi, non sarà in alcun modo il Senato sfiorato da polemica nel corso del mio intervento. Ogni polemica, per chi è onorato di aver frequentato così a lungo questi Palazzi, è il sale di quest’Aula. Io ne conosco le ragioni, ma in questa sede non è mia funzione occuparmi delle polemiche. Ciò non significa che non sarei in grado di farle. Significa che oggi, in questa sede, devo discutere soltanto degli elementi che integrano il fumus persecutionis e che desumo non da una prospettazione difensiva, ma esclusivamente dalle carte che mi accusano.
In premessa, per integrare il fumus persecutionis, leggo due commi di due articoli del codice di procedura penale che saranno il sostrato della mia analisi delle carte accusatorie. Il comma secondo dell’articolo 192 del codice di procedura penale recita che: «L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti». Questa dizione è precisa. Il secondo elemento, che – come è noto – giustifica l’appartenenza all’ordine della magistratura dell’ufficio del pubblico ministero, è l’articolo 358, secondo il quale: «Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Presumo che chi mi accusa conosca perfettamente questi due articoli. Ove mai, nel corso della mia analisi, questi due articoli saranno completamente disattesi, ho solo due possibilità, l’una più grave dell’altra: o non si conoscono i due articoli o – peggio – se ne distorce l’uso.
Devo citare solo rapidamente la data del 7 ottobre del 2014, quando la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato della Repubblica dichiara la inutilizzabilità di alcune intercettazioni a mio favore. Ripeto 7 ottobre del 2014. Il 23 febbraio 2015 sporgo denuncia. Dovere di un parlamentare, infatti, è di non fare alcunché di soppiatto. Un parlamentare denuncia i fatti ove ritiene in sua coscienza che siano da denunciare. Naturalmente spetta – ed è in corso – alla magistratura competente l’indagine sul caso. Sporgo denuncia a ragione di alcuni elementi di fatto rappresentati alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari che ritenevo fossero non corrispondenti al vero. L’ho fatto per l’esclusiva ragione che il Parlamento, la Giunta, vanno difesi di fronte a chi – a mio avviso – non rappresenta la realtà così come essa deve essere rappresentata. Questi sono due fatti storici. Conseguenti ad essi sono stati la denuncia al Consiglio superiore della magistratura, al Ministero della giustizia e alla procura generale presso la Corte di cassazione per le azioni di loro competenza. Questi sono fatti che emergono in tutta la loro evidenza.
Io sono iscritto in un processo iniziato nel 2013, e per fatti che mi vengono ascritti dal 2009, il 24 novembre 2014 (gli altri fatti erano avvenuti il 7 ottobre) e nel documento d’iscrizione nel registro degli indagati i pubblici ministeri che svolgono l’accusa nei miei confronti recitano come segue: «Letti gli atti del procedimento, tenuto conto in particolare delle dichiarazioni rese al pm da Lo Gatto Attilio, escusso in data 20 novembre (quattro giorni prima), dispone l’iscrizione».
Dunque, Lo Gatto Attilio è elemento decisivo, a detta del pubblico ministero, per la mia iscrizione nel registro degli indagati. L’articolo 192 del codice di procedura penale – come abbiamo visto – prescrive che l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.
Lo Gatto Attilio viene ascoltato il 20 novembre 2014. Non c’è, nell’indice dei documenti del processo, che – ripeto – ho prodotto innanzi alla Giunta, l’avviso di convocazione di Lo Gatto Attilio. Che il pubblico ministero sostenga di averlo fatto o meno, non c’è nell’indice. Quindi, il 20 novembre Lo Gatto Attilio va a parlare di me, ma non c’è un avviso di convocazione. Dieci mesi prima, cioè il 4 febbraio del 2014, testimonia contro di me Lo Gatto Antonio Nicolino. Che si tratti dello stesso fatto, come evidenzierò, non so se sia desumibile dalle parole dei due soggetti, ma lo dirà l’ordinanza.
La prima ragione, ai fini dell’integrazione del fumus, signor Presidente, signori senatori e signore senatrici, è la seguente: per lo stesso fatto, un padre e un figlio sono chiamati a dieci mesi di distanza. Questo non urta contro la normale procedura (si fa la mattina ed il pomeriggio, un giorno o l’altro), ma urta contro la logica. Ma vi è di più: il 4 febbraio Lo Gatto Antonio Nicolino non dice che c’è il figlio con lui, non c’è nell’indice dei documenti un avviso di convocazione e dieci mesi dopo ci ritroviamo il figlio. Pongo questo alla valutazione serena dei fatti da parte di tutti i senatori e le senatrici. Riuscite ad immaginare che qualcuno al mattino si svegli e dica: «Adesso vado a testimoniare nei confronti del senatore Antonio Azzollini»? Anzi, non a testimoniare, ho sbagliato: a rendere deposizione, perché le testimonianze verranno in un altro momento del processo.
Anche in questo caso, leggerò le due testimonianze così come si sono svolte, perché sono fatti, ma vanno corredate, ai fini dell’integrazione del fumus, dalle dichiarazioni premesse e conseguenti alle due deposizioni. Dicono i pubblici ministeri: «Sul tema del controllo dell’Ente da parte del senatore Azzollini riferiscono con dichiarazioni puntuali e precise» – certo, non possono non essere puntuali e precise, altrimenti non integrerebbero quegli elementi di cui abbiamo detto all’inizio – «Pappalettera Nicola, Lo Gatto Antonio Nicolino, Lo Gatto Attilio». La dichiarazione di Pappalettera Nicola è relegata in dieci righe a pagina 303. Egli riferisce notizie apprese da Rizzi Dario, come è scritto sempre nelle carte, e quindi si tratta di un teste de relato che apprende delle notizie e non dice assolutamente niente, se non: «poiché il senatore Azzollini ci ha promesso di intervenire, se ci può aiutare, però ha messo come condizione che entra a far parte dell’organizzazione un consulente suo». Questo è quanto dice Pappalettera, che non è ciò che dà luogo alla mia iscrizione nel registro degli indagati, tant’è che Pappalettera non viene introdotto nell’estensione dei capi di imputazione.
Vediamo invece i due Lo Gatto che fanno dichiarazioni puntuali e precise. Cominciamo dalla famosa parola che ha offeso il pudore e per la quale chiedo scusa a tutte le donne religiose che sono state coinvolte da quella frase. Chiedo scusa non per me, ma per chi le ha scritte. E allora Lo Gatto Attilio ha sentito dire alle suore dalla stanza accanto: «Da oggi in poi comando io, se no…». Questo è il punto. Il pubblico ministero chiede: «E sa quando… ricorda quando si è verificato?». Risponde: «I primi momenti, quando Azzollini è entrato nella Casa Divina Provvidenza». Il pubblico ministero si rende conto… «i primi momenti» e cerca di andare nello specifico. «Più o meno, il periodo se lo ricorda? Come anno, dico. Grosso modo si ricorda di che anno parliamo, di che stagione dell’anno… incomprensibile…» Voi mi scuserete. Stiamo parlando del fumus. La parola del pubblico ministero «incomprensibile» è un’assoluta novità in un processo. Incomprensibile può essere il teste o l’intercettazione, ma non ciò che il giudice chiede, ma così è. Io riproduco ‑ hanno detto giustamente i colleghi – ed è a disposizione di tutti voi. È incomprensibile per collocarlo storicamente. La risposta del Lo Gatto è la seguente «Mah, il 2006, 2007, 2008. Cioè non ricordo bene l’anno, però è stata una stagione intermedia non era né caldo, né freddo». Questa è la risposta; ma non è questo. In più, Lo Gatto non dice naturalmente che c’è il padre. Non c’è. Andando avanti: «Lo conosceva» il senatore Azzollini?. «Sì, sì, lo conosco e c’ho anche litigato una volta». «Ma l’ha visto proprio con i suoi occhi?». E lui risponde: «Chi?». «Che entrava il senatore Azzollini?». «Sì». «Ed era accompagnato da qualcuno, se lei ricorda?». «No, non era accompagnato da qualcuno». Il giudice va avanti e chiede altro e la risposta è: «Non mi ricordo se c’era Belsito», l’altro. Poi gli chiedono: Ricorda, per caso, se c’era il fratello del senatore Azzollini?». Capirete tra un momento perché chiedono di mio fratello. «Non lo conosco». «Se c’era, per caso, Rocco Di Terlizzi?». «No».
Allora, abbiamo assodate tre cose che saranno sicuramente, per integrare un fatto, puntuali e precise. L’anno era il 2006, 2007 o il 2008, ma la stagione, in un paese del Meridione d’Italia, era intermedia; non era né caldo, né freddo. Ed io come ero entrato? Da solo. Dieci mesi prima il padre, interrogato da altri – importante questo perché non è lo stesso che interroga – dice così. Comincia subito: «Si presentarono una sera il senatore Azzollini, Angelo Belsito, la…» – una terza persona – «il fratello del senatore Azzollini e non so quanto altre persone». Da solo con un esercito di persone. E che fecero? chiede. Non pronuncia la famosa frase. Lui non la sente. Non c’è il figlio e non la pronuncia e dice: «E misero» – proprio perché eravamo in tanti – «ko». Dice proprio «ko». Questo è il termine esatto. L’uomo dice: «Misero ko il consiglio generalizio», che, sapete, è fatto – penso – da un po’ di suore, la cui età minima è 74-75 anni, come è noto, tranne una. E, quindi mettere ko delle suore è francamente una frase puntuale e precisa. «E misero ko», ma non dice questa parola dicendo che non si dovevano più permettere di gestire il patrimonio della casa Divina Provvidenza. Chiede il pubblico ministero: «Qquesto quando è avvenuto»? Sicuramente l’anno può essere il 2006, il 2007 o il 2008 e la stagione era intermedia. Siamo a Bisceglie, un Paese del Sud Italia. «Questo è avvenuto il mese di giugno-luglio 2009». Ripeto: giugno-luglio 2009. Grave, preciso, ma soprattutto concordante.
Signor Presidente, per quest’Assemblea integro la ricostruzione fatta dai pubblici ministeri: «Il senatore Azzollini nell’estate (lo dicono con precisione) successiva all’assunzione di Rizzi Dario della carica di direttore generale (quindi nell’estate del 2009) organizzò una sorta di irruzione nella sede biscegliese della Cdp, imponendo da quel momento in poi alle suore (…)». Dunque, assumono la deposizione del padre, il primo: un’irruzione nell’estate del 2009.
Sottopongo al Senato della Repubblica la seguente questione. «La leggera discrasia su questioni di minor rilievo, circostanze temporali e presenza di altri soggetti o meno insieme al senatore, non inficia l’attendibilità delle dichiarazioni e, anzi, per converso, attesta che i due hanno reso al pubblico ministero dichiarazioni genuine». Tutti dobbiamo quindi sapere, da oggi in poi, che più le ricostruzioni dello stesso episodio sono distanti, più genuine sono. Quindi, sostenere, da una parte, che Azzollini è biondo, alto e con gli occhi azzurri e, dall’altra, che è piuttosto basso, tarchiato e con gli occhi marroni rende le dichiarazioni più genuine, tranne che per Azzollini, che a quel punto non sa chi è.
Questo è il punto che mi fa pensare perché viene detta questa cosa. Ricostruita secondo la versione del padre, continua: «L’episodio in oggetto, connotato da una frase – quella famosa – la cui portata intimidatoria si apprezza in tutta la sua incisività inaugura la stagione del potere azzolliniano». Dunque è evidente una giustapposizione a posteriori di due deposizioni largamente divergenti. Non si sa perché e per quale ragione possano essere state attinte entrambe (l’una parla dell’altra e viceversa) in tempi diversi ma ricostruite in questo modo. Questo sottopongo all’attenzione dell’Assemblea per verificare, come primo degli elementi, l’integrazione di un fumus persecutionis. Dovevo dirlo con questa precisione.
Signor Presidente, passo alla seconda questione, riguardante le assunzioni, sempre rifacendomi a Lo Gatto. Le assunzioni sono così descritte. Sono andato in tutto il mondo per non so quante assunzioni. In base alle date indicate sui prospetti esibiti da Lo Gatto (sempre da lui), 46, per la sola sede di Bisceglie, sono attribuite dal 2000, 23 sempre a Bisceglie, ad un altro perito. 197 è il numero andato in tutta Europa, di cui però 54 per Bisceglie. Tutta l’ordinanza mi rende il capo di Bisceglie, Foggia e Potenza non ci sono. Quindi, sono 54; siamo passati a 54. Al riguardo, è utile richiamare le dichiarazioni, questa volta di Lo Gatto, già riportate in precedenza, secondo cui, a partire dal momento dell’esproprio di potere da parte del senatore Azzollini (finalmente ci sono) e del suo entourage, le assunzioni selvagge sono: Vasiljevic Adriana». Si tratta di una signora attinta da tutt’altre questioni, che non mi riguardano. Eppure per due giorni tutti i telegiornali d’Italia hanno parlato di me come persona coinvolta, e mi dicono – io non li ho mai ascoltati, ne chiederò le registrazioni – che poi non solo hanno smentito, ma mi hanno chiesto scusa. Sono grato per le loro scuse, ma per lo meno verifichino con un pizzico di attenzione prima di dire a tutto il mondo cose del genere.
La signora Belsito Teresa, la figlia di Belsito, ritenuto «mio uomo» (quindi una); poi il signor X e dicono a chi sono attribuibili: figlio di un cugino della superiora; la signorina X, figlia del coordinatore responsabile del sindacato X di Puglia; la signorina X, figlia dell’onorevole Y; il signor X, fratello del direttore generale; il signor Y, figlio del direttore dell’ARES Puglia; la signorina Y figlia di un alto rappresentante; il signor Y, figlio del direttore sanitario della sede di Foggia. Alla fine della fiera, si tratta di un’assunzione.
Mi chiedo come sia possibile che non si motivi un’assunzione, invece che 197. Questo, ricordate, è determinante ai fini della mia presunta figura di amministratore di fatto. Se fai 197 assunzioni, è qualcosa che assume una sua verosimiglianza, salvo le dimostrazioni; se ne fai una, o meglio se una ti viene attribuita – ma ho detto che qui non faccio dichiarazioni difensive – le cose cambiano in maniera totalmente radicale. Una assunzione, e solo perché figlia del signor Belsito.
Qui sono le prime due mie gravi condotte per le quali fa fede Lo Gatto, il test fondamentale, la cui verosimiglianza è così evidente… Ma soprattutto pongo alla riflessione del Senato le ricostruzioni fatte dai miei accusatori, che sono francamente difficili da poter ritenere logiche in questa sede; in sede processuale ci esprimeremo in altro modo.
L’altra grande vicenda che mi riguarda sarebbe la famosa questione della bancarotta e soprattutto della mia persistenza. Vi dirò tre cose, una delle quali letta dai documenti. A proposito, di questa verosimiglianza e dell’articolo 358 per cui il Ministero compie ogni attività necessaria e svolge accertamenti a favore della persona, perché il pubblico ministero non chiede al padre se c’è il figlio? Perché non chiede al figlio se c’è il padre? Perché non chiede alle interessate se il fatto è avvenuto? Non lo chiede. Non integra nessuna di queste prescrizioni legislative. Nessuna. Perché? C’è un solo fatto: in sede di deposizione dinanzi al tribunale della libertà, fatta dalla suora che sarebbe stata destinataria del mio incommentabile frasario, la suora, ristretta agli arresti, smentisce radicalmente il fatto. Dunque, prima non erano concordati, adesso non sono nemmeno gravi né precisi. E la suora lo dice dinanzi ad un giudice attraverso il suo memoriale, ristretta, senza nessuna possibilità di colloquio con me. Dunque, questi due articoli sono stati totalmente e radicalmente disattesi. Perché? Lo affido alla valutazione del Senato.
Ma andiamo alla questione della bancarotta. La Casa Divina Provvidenza è in concordato preventivo dall’aprile 2013, cioè da quel momento ci sono dei commissari che gestiscono la Casa Divina Provvidenza. Come io possa ovviare a questo, è assolutamente difficile da pensare. Ma se questo non bastasse, dal dicembre 2013 la Casa Divina Provvidenza viene messa in amministrazione straordinaria.
Dice l’ordinanza che mi accusa, a pagina 39, riprendendo la legge sull’amministrazione straordinaria, che il decreto di nomina dei commissari «determina lo spossessamento del debitore e l’affidamento al commissario straordinario della gestione dell’impresa e dell’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente». Come io possa incidere su questo non è dato di capirlo, tranne che per una questione di cui dirò tra un momento. Ci sono lo spossessamento del debitore e la gestione affidata al commissario: che il commissario non sia uomo vicino a me è illustrato in più luoghi e in più modi nel processo, anche se di tutti gli aspetti che non riguardano il fumus ho detto che non mi sarei occupato. Di certo, però, viene detto varie volte che il commissario non è certamente persona a me vicina. Quindi, anche sulla questione delle interferenze, devo dire simpaticamente che quanto a poteri forti sono un po’ deboluccio: il commissario unico non è vicino al senatore Azzollini e gli altri commissari, che avrebbero dovuto esserci, non ci sono. Questa è la situazione di fatto: così è andata. La cosa che rende, a mio avviso, ciò impossibile – lo dico sempre ai fini del fumus, colleghi – non è il fatto che ci sia la nomina del commissario – non so come ho fatto, prima del concordato preventivo – ma il fatto che ad agosto del 2013, i due magistrati dell’ufficio del pubblico ministero che mi accusa, in un provvedimento di dissequestro di somme, che riguarda la Casa Divina Provvidenza, si esprimono nel modo che vi dirò. Si tratta esattamente dei pubblici ministeri in questione. Presidente Stefano, la ringrazio anche per la sua serenità nei miei confronti, adducendo però questi elementi, che nella sua relazione non ho trovato. I due pubblici ministeri – loro, esattamente loro – così scrivono nel documento di dissequestro: il pubblico ministero dispone il dissequestro dei conti, ma, soprattutto, prescrive inoltre al direttore generale della Casa Divina Provvidenza, dottor Giuseppe Domenico De Bari, «di rendicontare alla scrivente autorità giudiziaria, salvi gli altri obblighi nei confronti degli organi della procedura concorsuale, per iscritto, con cadenza settimanale, a partire dalla data di notifica del presente provvedimento, tutte le operazioni in entrata e in uscita, adeguatamente supportate dalla relativa documentazione, effettuate sull’unico conto corrente indicato e nelle more del dissequestro degli atti, effettuati anche sugli altri conti dissequestrati».
Dunque, come posso aver continuato, dal 2013, a poter svolgere una qualsiasi attività all’interno della Casa Divina Provvidenza? Vi chiedo di valutare questo aspetto ai fini del fumus. Qui non si parla di altri soggetti, ma esattamente dei due sostituti procuratori, che poi hanno firmato la richiesta. Dal 2013 richiedono di avere un rendiconto settimanale, per iscritto, di tutte le operazioni in entrata e in uscita, adeguatamente supportate e con il relativo movimento finanziario sottostante. Non è possibile far niente e ciò è dimostrato dal fatto che naturalmente non è mai contestata nessuna violazione di questo ordine. Allora, se non si contesta la violazione di questo ordine e mi si dice che dal 2013 avrei potuto operare, c’è davvero una contraddizione logica, più che giuridica. E ciò che non è logico, ovviamente, potete comprendere che ha altra motivazione.
Mi avvio a concludere, signor Presidente, con l’ultima delle questioni.
Per quanto riguarda il reato di bancarotta, che è un delitto contro il patrimonio – anche volendo ammettere che io l’abbia commesso, e non è così, avrei dovuto farlo almeno entro agosto del 2013 – a pagina 520 del provvedimento, l’atto di accusa così si esprime: «La circostanza che Azzollini Antonio, a differenza degli amministratori ufficiali dell’Ente, non abbia agito per interessi di natura economica (non v’è infatti prova che il Senatore abbia conseguito o tentato di conseguire)» – quindi quella che si chiamerebbe prova piena – «un lucro dalla gestione occulta della CdP), non impedisce di considerarlo componente dell’associazione a delinquere, per giunta con la posizione di capo» perché aveva «interessi di natura personale e politica, costituendo la CdP un bacino di consenso politico-personale di notevole portata, il cui mantenimento in vita assicura al politico molfettese un consenso politico-personale pressoché eterno».
Signor Presidente, se in una vicenda molto difficile come è questa mi è consentito di avere una lieve ironia, tutto questo sarà pure molto funzionale per l’eternità, ma la mia parte politica nel 2013 ha perso le elezioni sia a Molfetta che a Bisceglie: sarà per l’eternità, ma non per questa vicenda. Vi chiedo scusa, colleghi, per questa lieve ironia su questo aspetto, ma resta il fatto che, quando ci si addentra in questioni di natura politica, gli eventi sono poi tutt’altra cosa e si mostrano di tutt’altra evidenza. Così è andata la vicenda.
Un’ultima questione che vorrei richiamare, che non verrà probabilmente mai discussa nei tribunali, ma che in questo Senato deve essere richiamata, perché è decisiva, riguarda il fatto che Azzollini Antonio è spiato. Stiamo parlando di questo. Si tratta della e-mail inoltrata da Marcello Paduanelli, tuttora direttore amministrativo dell’ente, dunque evidentemente molto ben informato della vicenda, all’avvocato Cozzoli in data 28 febbraio, alle ore 16,28 nella quale Paduanelli informa il commissario di un incontro svoltosi a Molfetta il 16 febbraio nell’ambito del quale Antonio Azzollini, incontrando alcuni dipendenti della Cdp, a lui aderenti e preoccupati delle sorti dell’ente, li avrebbe rassicurati affermando che avrebbe controllato lui stesso la situazione.
Premesso che questo è quello che scrive Paduanelli, resta il dato che io ho fatto una normale riunione e qualcuno, un signore non autorizzato dal giudice informa Cozzoli, che informa il tenente colonnello della Guardia di finanza, che informa il pubblico ministero. Forse questo elemento non integra di per sé un grave pericolo, ma l’uomo insiste.
Domenica 1° marzo, inoltre, Paduanelli, con un sms girato al tenente colonnello Ricchitelli, avvisa che Azzollini ha incontrato le suore, con cui si è intrattenuto circa mezz’ora, accompagnato da una sua segretaria, da un altro signore non identificato e da Angelo Belsito. Il fatto era irrilevante, ma il dato è che tra persone normali qualcuno spia ciò che fa Azzollini e dà informazioni che vengono iscritte nella richiesta della misura cautelare nei miei confronti.
Signori, questi sono gli elementi. Consentitemi di aggiungere solo un’altra cosa, con cui concludo davvero.
Tutti hanno parlato di quante persone hanno visto le mie carte: non tratto dell’udienza del tribunale della libertà, perché ho chiesto le trascrizioni di quella mia presenza, che non mi sono state ancora concesse, ma che sono molto significative.
Ho detto che mi sarei attenuto alle carte scritte. Ma ho prodotto ai colleghi ed ho qui la circostanza che il giudice delle indagini preliminari, sulla mia persona, fa esclusivamente un copia ed incolla. Non riproduce, ma fa un copia ed incolla della richiesta del pm. Questo in spregio alla norma cha da par suo ha trattato il collega D’Ascola, sulla necessità, introdotta da una legge di aprile, dell’autonoma valutazione. Quindi i copia e incolla evidentemente c’erano, se il legislatore ha sentito la necessità di dire che bisogna fare un’autonoma valutazione. Ora, «autonomo» è un concetto che può andare da 0,1 a 10, ma non può andare a 0. Ripeto che è stato fatto un copia ed incolla; questo la dice sul contesto nel quale sono giudicato.
Ringrazio tutti e ringrazio il Presidente per i minuti in più che mi sono stati concessi. Ho tentato di illustrare al Senato della Repubblica quali sono i motivi, dedotti esclusivamente dalle carte a mia conoscenza (tutte prodotte da chi mi accusa), per i quali ritengo che il fumus persecutionis sia integrato abbondantemente. (Applausi dai Gruppi AP (NCD-UDC), FI-PdL XVII, Cri e GAL (GS, MpA, NPSI, PpI, IdV, VGF, FV). Congratulazioni).
GIARRUSSO (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIARRUSSO (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, non vi è dubbio alcuno che questa sia una vicenda emblematica per il nostro Paese. Basta solo guardare i capi di imputazione che riguardano il collega Azzollini: associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e semplice. Un cittadino normale potrebbe domandarsi: ma di cosa si sta parlando? Dei dodici anni in cui è stato a capo della Commissione bilancio, i cui dati sono pubblici ed evidenti a tutti, perché la bancarotta riguarda il nostro Paese? (Applausi dal Gruppo M5S). No. Si parla del modus operandi locale, di un buco fra 350 e 500 milioni di euro (non si capisce bene).
Inoltre – mi dispiace, colleghi, di doverlo evidenziare – qua in quest’Aula vi si è mentito spudoratamente. Quando si dice che il caposaldo dell’ordinanza è l’attività parlamentare, chi ha proferito queste parole vi ha mentito, perché il gip ha tassativamente escluso quell’ambito di attività dalle sue valutazioni ed ha circoscritto il perimetro della condotta di cui è accusato Azzollini all’attività sul territorio, specificandolo. Quindi si tratta di una palese menzogna, usata perché suggestiva, cari colleghi, per dirvi che i magistrati vogliono mettervi tutti sotto accusa per l’attività parlamentare. No, quello lo faranno i cittadini, per la bancarotta di questo Paese! (Applausi dal Gruppo M5S). La bancarotta di quelle aziende sanitarie private finanziate con denaro pubblico è la stessa bancarotta cui avete condotto questo Paese in 12 anni di gestione di questa Commissione bilancio. (Applausi dal Gruppo M5S). I dati sono pubblici e non sono opinioni nostre.
Però qua dentro sono tutti amici di Azzollini. Vorrei vedere, dodici anni con i cordoni della borsa sempre aperti! (Applausi dal Gruppo M5S. Commenti dal Gruppo PD).
DE BIASI (PD). Ma come ti permetti! Ma insomma, signor Presidente!
PRESIDENTE. Senatore Giarrusso, si attenga ai fatti di cui stiamo discutendo.
GIARRUSSO (M5S). Io mi attengo ai fatti, signor Presidente. Basta leggere «Il Sole 24 Ore»; i dati economici del nostro Paese sono attestati. Là ci sono i numeri della nostra bancarotta. E qualcuno deve essere pur responsabile; non è che sono responsabili gli alieni. La Presidenza della Commissione bilancio non ce l’avevano gli alieni: ce l’aveva il senatore Azzollini!
Ma tutti adesso sono amici di Azzollini qua in questa Aula e nemici dei cittadini di questo Paese; questa è la verità!
Vorrei chiedere a tutti quelli che improvvisamente si sono scoperti amici, nella semplice frase «la legge è uguale per tutti», che è un grande principio di civiltà, che cosa non vi è chiaro? Che cosa c’è di insopportabile in questo principio democratico, liberale, visto che si riempiono la bocca di questo termine?
La legge è uguale per tutti. Che cosa vi induce ad andare contro non uno, ma ben due livelli della nostra giurisdizione che già si sono pronunciati in quel percorso che amano chiamare processo giusto, sconfessandoli? Cosa è? Non è più il processo giusto? Improvvisamente i nostri giudici sono diventati dei persecutori? Chi è il persecutore e il perseguitato in questa vicenda?
Fuori da quest’Aula è chiaro a tutti che tutto si può dire di Azzollini tranne che sia un perseguitato dalla giustizia (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Simeoni) perché è da decenni che a casa sua e qua fa quello che vuole perché glielo avete fatto fare.
Ora vi pesa votare per il suo arresto. Prima faceva comodo. Lo capisco: Azzollini ha fatto comodo a tanti. Adesso scaricarlo è difficile.
Oltre alla menzogna riguardante l’attività parlamentare, ci sono altre menzogne che sono giustificate da parte di chi si difende in un’aula di tribunale, ma questa non è un’aula di tribunale e qui le menzogne hanno le gambe corte perché c’è il Movimento 5 Stelle. (Commenti dei Gruppi PD, FI-PdL XVII e AP (NCD-UDC)).
Quelle che avete sentito sulla valutazione delle testimonianze (prendiamo ad esempio Lo Gatto) sono normali valutazioni sulla veridicità di testimonianze che se troppo precise e concordanti si dice che sono concordate. Quindi il giudice, diversamente da come è stato qui detto, ha affermato che proprio per questo sono veritiere, perché non sono sovrapponibili. Ma, attenzione: non si contraddicono ma, diversamente da come vi è stato detto, si integrano. (Applausi dal Gruppo M5S).
MANCONI (PD). Giarrusso, complimenti stai facendo lo statista!
GIARRUSSO (M5S). Oggi noi non abbiamo dubbi, e il silenzio dei colpevoli ne è la prova, che nel segreto, nascondendovi come i ladri agli occhi dei cittadini salverete Azzollini. Ma voi salverete Azzollini e perderete voi stessi perché dimostrerete una cosa inconfutabile: che di Azzollini eravate complici e sodali. (Applausi dal Gruppo M5S). In quest’Aula i perseguitati sono i cittadini di questo Paese, non certo Azzollini che ha avuto un trattamento di riguardo e di favore anche dalla magistratura che lo ha lasciato per tanti anni in pace tranquillo sul suo territorio e solo ora si è risvegliata. (Commenti del Gruppo AP (NCD-UDC)).
Quanto alle difese di Azzollini, adesso sicuramente è stato meglio consigliato ma vi posso garantire, e chi era presente in Giunta lo può testimoniare, che erano difese che io da avvocato mai avrei fatto fare al mio cliente, per quanto erano ridicole e incredibili. (Vivaci commenti dal Gruppo PD).
Azzollini ha ammesso in Giunta di essere intervenuto sull’ente nominando il gestore e nominando quelli che costituivano, secondo la magistratura, la sua “banda”. Sapete quali erano le sue risposte alle nostre domande? Alla semplice domanda: «Chi le ha chiesto, collega, di intervenire su quell’ente?», ha risposto: «Tutti». E quando abbiamo chiesto chi fossero questi tutti ha ripetuto: «Tutti». Questa era tutta la sua linea difensiva.
Mi avvio alla conclusione, Presidente, che è semplice: noi, ritenendo che non vi sia fumus persecutionis ma che si tratti semplicemente di atti doverosi della magistratura, fin troppo clementi, voteremo a favore. Voteremo a favore perché riteniamo che i cittadini siano e debbano restare uguali di fronte alla legge, senza insopportabili privilegi di casta come questo. (Applausi dal Gruppo M5S).
Mettere sotto accusa e sotto processo la magistratura, infatti, è un privilegio che solo in quest’Aula vi potete permettere, ma noi non ve lo consentiremo. (Applausi dal Gruppo M5S).
Giorgio Tonini
Ho votato anch’io, come credo la maggior parte dei senatori del Pd (il voto era segreto, ma i numeri parlano chiaro), contro la richiesta di arresto del sen. Antonio Azzollini. Sapevo che sarebbe stata una decisione difficile da spiegare ad una parte dei nostri elettori, sapevo che mi sarei preso la mia dose di insulti sulla rete, ma ho assunto questa decisione con la coscienza tranquilla, perché penso (e ci ho pensato a lungo) di aver fatto la cosa giusta. Penso che quando si deve decidere della libertà, dell’onore e in definitiva della vita di una persona, si debba farlo prescindendo, per quanto possibile, da valutazioni di opportunità politica, che del resto, in questa circostanza, erano assai incerte. Sarebbe stato infatti sbagliato lasciarsi influenzare, nel decidere pro o contro la richiesta di arresto, sia da ragioni, tutt’altro che ignobili, di realismo politico, che avrebbero spinto a votare contro l’arresto (per salvare l’alleanza con Ncd, decisiva per la tenuta del governo, con tutto ciò che questo comporta in termini di interesse dell’Italia), sia da ragioni non meno nobili e importanti per il Paese, di consenso, almeno immediato, al Pd, che avrebbero spinto nella direzione opposta. Penso sia stato giusto invece porsi, come ho e abbiamo cercato di fare, l’unica domanda vera, che la Costituzione ci impone di porci: quelle proposte dai magistrati sono ragioni in grado di motivare la richiesta, non di processare (su quello non siamo competenti), ma di arrestare in via preventiva, cioè in fase di indagini, un parlamentare? Aggiungo che negli ormai lunghi anni della mia permanenza in Senato (dal 2001) ho quasi sempre votato a favore della richiesta della magistratura, perché ho sempre pensato che l’onere della prova fosse a carico di chi si oppone alla richiesta dei magistrati e non di chi vi si conforma. Penso infatti che si debba partire dal presupposto che un magistrato inquirente che chiede l’arresto di un cittadino, con l’approvazione di un giudice delle indagini preliminari e magari anche (come nel caso di Azzollini) di un tribunale del riesame, lo faccia perché convinto in scienza e coscienza di fare una cosa giusta e dunque doverosa, imposta dalla legge. E pertanto, l’assemblea parlamentare che si oppone a questa decisione debba essa dimostrare l’infondatezza della richiesta della magistratura e la presenza del cosiddetto “fumus persecutionis”, ossia del fondato sospetto di un atteggiamento persecutorio, in una qualunque delle molteplici forme che esso può assumere, da parte della magistratura nei riguardi del parlamentare. Ebbene, nel caso di Azzollini, dopo aver studiato le carte, averci pensato su e discusso con colleghi più competenti di me, sono arrivato alla conclusione che c’erano molti e solidi indizi di fumus persecutionis, che la richiesta di arresto era motivata in modo debole e discutibile ed era sostenuta da argomentazioni pericolose dal punto di vista democratico, in quanto segnavano una netta invasione di campo da parte della magistratura ai danni del parlamento, mettendo così in discussione il principio della divisione dei poteri. L’ordinanza di arresto andava dunque respinta. Azzollini andrà comunque sotto processo e, se sarà condannato, finirà anche in prigione. Ma acconsentire al suo arresto ben prima del processo, sulla base di motivazioni tanto discutibili, sarebbe stato un tragico errore. Che non ho, non abbiamo commesso.
Pietro Ichino
NEI CASI PRECEDENTI HO SEMPRE VOTATO PER L’AUTORIZZAZIONE, NON RAVVISANDO INDIZI DI SCORRETTEZZA NELL’OPERATO DEI GIUDICI; QUESTA VOLTA SONO RIMASTO SCONCERTATO DALLA CONFESSIONE ESPLICITA, NELL’IMPIANTO ACCUSATORIO, DELLA PRETESA DI METTERE SOTTO CONTROLLO L’ATTIVITÀ PARLAMENTARE
Lettera pervenuta il 27 luglio 2015 – Segue la risposta immediatamente precedente rispetto al voto segreto del Senato, nella sessione antimeridiana del 29 luglio, che ha fatto poi registrare una larghissima maggioranza contraria alla concessione dell’autorizzazione all’arresto.p
Caro Pietro, ho visto che dopodomani il Senato decide sull’autorizzazione all’arresto del senatore Azzollini. Come voterà il gruppo Pd e come voterai tu?
Giorgio (Milano)
La presidenza del Gruppo Pd nei giorni scorsi ha deciso di non dare indicazioni ai senatori, invitando ciascuno di essi a votare secondo coscienza. Per quel che mi riguarda, ho deciso di votare contro l’autorizzazione, per questi motivi:
a) il senatore Azzollini è accusato di avere operato come “amministratore occulto” di una Congregazione religiosa, della quale è stata dichiarata due anni fa l’insolvenza; ma di questa accusa ho trovato negli atti giudiziali elementi di prova che definire evanescenti è dire poco;
b) il Giudice per le Indagini Preliminari riconosce esplicitamente l’assenza di qualsiasi lucro patrimoniale che l’imputato abbia ottenuto o tentato di ottenere dai comportamenti di cui è accusato;
c) l’unico movente del comportamento di cui il senatore Azzollini è imputato, secondo il GIP, è costituito da “interessi di tipo personale e politico, costituendo la Congregazione un bacino di consenso politico-personale di notevole portata”;
d) a parte l’aver operato come “amministratore occulto” della Congregazione, di cui non viene offerta alcuna evidenza, l’altro comportamento che viene imputato al senatore Azzollini consiste nell’essersi adoperato in Senato per l’approvazione di esenzioni fiscali delle quali la Congregazione stessa avrebbe beneficiato.
Negli altri casi analoghi precedenti, di richiesta dell’autorizzazione all’arresto di un senatore, ho votato per l’autorizzazione, non ravvisando indizi di scorrettezza nell’operato dei giudici. Questa volta invece sono rimasto sconcertato da quella che mi è apparsa come una vera e propria confessione esplicita, nell’impianto accusatorio, della pretesa di mettere sotto controllo l’attività parlamentare. E mi ha molto stupito il fatto che il Tribunale della Libertà abbia convalidato la richiesta del GIP, ricalcandone alla lettera i motivi, senza rilevare l’anomalia di un capo d’accusa che ha per oggetto principale l’attività legislativa di un parlamentare e che indica come movente del preteso delitto il puro e semplice interesse politico-elettorale del parlamentare stesso. Per non dire dell’anomalia dell’arresto come misura cautelare, in una situazione nella quale il rischio di fuga dell’imputato è nullo, la Congregazione insolvente è commissariata, dunque la reiterazione del reato è impossibile, e non si vede come possa temersi un inquinamento di prove – per ora comunque evanescenti – circa l’attività di “amministrazione occulta” svolta più di due anni or sono, essendo l’amministrazione della Congregazione religiosa attualmente affidata a un commissario.
Con questo, non esprimo alcun giudizio sull’insieme dei rapporti intrattenuti dal senatore Azzollini e la Congregazione religiosa, dei quali non so quasi nulla (anche perché dagli atti giudiziali non emerge gran che di preciso): può essere benissimo che ci sia stato del clientelismo, dei difetti di trasparenza, dei comportamenti scorretti. Il senatore Azzollini verrà processato come qualsiasi altro cittadino; ma da questo all’arresto preventivo del parlamentare in via cautelare mi sembra ci corra davvero troppo. (p.i.)
Alessandro Ferrari
Mentre orde di manettari invocano la forca e preparano la legna per il rogo i difensori dello stato di diritto provano a riflettere e a giustificare le loro scelte per quanto impopolari. Perché forse le accuse sono state rivolte al senatore Azzollini sono fumose e legate al suo ruolo di parlamentare (parliamo dell’ottima procura di Trani tra l’altro).
Ma che importa, probabilmente non sapete neanche come si scrive Azzollini, non sapete di cosa è accusato, non sapete che non esistono intercettazioni con le suore dove le minaccia, non sapete che il senato ha votato contro la custodia cautelare ma il processo andrà serenamente avanti e l’accusa avrà modo di portare tutte le prove che ritiene necessarie. Forse non sapete neanche che differenza c’è tra una condanna e la custodia cautelare, e non sapete neanche che la differenza tra il nostro stato e la Corea del Nord è che la libertà personale non può essere tolta prima di tre gradi di giudizio salvo casi particolarissimi (rischio di fuga, inquinamento delle prove, reiterazione del reato). Ma probabilmente non vi interessa perché se l’accusato è un politico (o un rom) è sicuramente colpevole. A voi non frega delle garanzie costituzionali a favore della libertà personale, volete vedere le manette. Però sappiatelo, è fascismo. Non mi importa se nero, rosso o pentastellato, è fascismo e non conosco niente a livello politico che sia ributtante come il fascismo.
Voi non volete sapere la verità, volete vedere il sangue. Non vi interessa la giustizia, volete la vendetta.
Accanto allo sdegno ammetto di provare compassione. Non solo per l’arroganza e l’ignoranza (difetti umani, mi rendo conto, ma che mescolati insieme mi diventano quasi intollerabili) ma perchè se non fosse che con questa giustizia sommaria distruggete le vite di chi a turno finisce in mezzo al ciclone, farebbe sorridere il vostro tentativo di epurare il mondo intorno a voi nella speranza di non fare i conti con ciò che è dentro di voi. Come un rito espiatorio collettivo, giustiziare il malvagio per fare pulizia e rendere il mondo un posto migliore, ignorando volutamente o meno che quello che state cercando di eliminare non è probabilmente né migliore né peggiore di voi. O forse è proprio questo che rende la sua eliminazione allettante. Ma purtroppo l’unico modo che abbiamo per migliorare davvero il mondo è fare i conti con male che è in noi.
Come disse Gaber quando gli chiesero se temeva Berlusconi: “Non mi fa paura Berlusconi in sé, ma il Berlusconi in me.”
P.S. Non ho mai votato ne intendo farlo in futuro per NCD, che ritengo il peggior partito tra quelli al governo immagine di una destra clientelare e parassitaria. Ciononostante non sono disposto a sacrificare le garanzie costituzionali sull’altare della lotta politica.
P.P.S. spiace vedere che anche Pierfrancesco Majorino lisci il pelo ai manettari in vista delle primarie facendo uscite a caso su cose che nulla hanno a che vedere con l’ottima amministrazione di cui fa parte.
Stefano Ceccanti
Equilibrio di poteri
Il voto sull’autorizzazione all’arresto del senatore Azzollini, a prescindere dalla concreta vicenda giudiziaria, aveva un significato dominante:l’equilibrio tra i poteri, analogo per alcuni versi a quello che aveva opposto la procura di Palermo alla Presidenza della Repubblica. Caso in cui quella procura si voleva arrogare il potere di determinare unilateralmente dove cominciassero e finissero i poteri legati alla funzione del presidente della Repubblica. Nel caso di ieri buona parte dell’ordinanza della procura di Trani si basa su un’articolata contestazione dell’attività parlamentare di Azzollini, ponendo problemi rispetto al primo comma dell’articolo 68 della Costituzione secondo cui «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Non è la sola procura a muoversi su questo terreno, con una certa benevolenza di parte dell’opinione pubblica, giustamente reattiva rispetto a questioni connesse a problemi di corruzione.
Tuttavia, la tentazione di alterare gli equilibri costituzionali non può essere passivamente accettata: non tutto ciò che è moralmente discutibile o politicamente contestabile può essere usato come un’arma dal potere giudiziario nei processi e nell’uso della carcerazione preventiva. Di questo pericolo si era reso conto anche il presidente della Giunta, il senatore Stefàno: aveva cercato di sostenere nella sua relazione che l’argomentazione della procura non voleva davvero sindacare direttamente l’attività legislativa di Azzollini ma solo descriverne la «logica d’insieme», una sortadi riscontro indiretto, di ‘conferma’ di accuse che reggerebbero anche da sole. Tuttavia, rispetto all’articolo 68 della Costituzione, questa linea di giustificazione non sembra reggere quando ci si trova di fronte a un potere giudiziario che afferma che l’accusato non sarebbe stato mosso da motivi economici ma politico-elettorali e di essersi adoperato in Senato per l’approvazione di esenzioni fiscali per la Casa in questione. Perciò, il voto di ieri, anche se difficile da spiegare, è un voto a favore dell’equilibrio tra i poteri e, come tale, rappresenta una buona notizia per il sistema. Per di più, blocca solo l’arresto, non il processo, dove ciascuno farà valere le sue ragioni.