Italia marittima, quale futuro?
Oltre il mare, c’è qualcuno che conosce i lavoratori marittimi, la nostra gente di mare?
In fase emendativa della Legge Europa per il 2016, di cui sono stato relatore, ho proposto un emendamento (divenuto poi D.L. 221/2016) in base al quale i benefici fiscali e contributivi previsti dalle leggi italiani fossero riservati alle compagnie armatoriali che, battenti bandiera italiana, impiegano in prevalenza personale marittimo italiano o comunitario. Molte polemiche ha suscitato questa mia legge lo scorso anno, ma non da parte dei marittimi: per loro si stava aprendo dopo molti anni finalmente una possibilità occupazionale. Siamo un Paese abbracciato dal mare, eppure a volte sembra che il mare rappresenti più una forza statica piuttosto che una dinamica risorsa in termini non solo di attrattivi turistica ma anche occupazionale.
Le professioni del mare ci hanno storicamente resi famosi in tutto il mondo, la nostra marina militare e la nostra marina mercantile sono da sempre state un fiore all’occhiello per noi. Perchè, ad un certo punto, non si è più parlato del lavoro marittimo come reale svolta occupazionale? Non lo dico in senso retorico, ma con la chiara intenzione di fare qualcosa di concreto: lo devo alla mia storia personale, lo devo al senso di giustizia sociale che muove il mio agire politico, lo devo all’articolo 1 e all’articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana.
I lavoratori marittimi non sono lavoratori invisibili.
Come si diventa “ufficiale marittimo” ? Beh, oggi come oggi non basta più aver frequentato il fu Istituto Tecnico Nautico: la legge Gelmini, rivedendo il piano didattico dell’istituto, ha di fatto dequalificato il titolo in possesso dei futuri aspiranti allievi ufficiali ( oggi meri periti “logistici” ) poiché gli attuali percorsi didattici on sono più coerenti con i parametri previsti dalle recenti direttive IMO. Vi è di più: conseguentemente, anche chi già aveva conseguito diploma e titoli professionali si è trovato costretto a dover frequentare corsi integrativi per poter certificare il possesso dei requisiti richiesti dalle normative interazioni sul lavoro marittimo. Il lavoro marittimo richiede anche la frequentazione di corsi specifici. Ancora ritorna l’italia delle scuole di formazione professionale (permettete questa nota di richiamo alla mancata occasione referendaria ma, come è noto, se la Riforma fosse passata sarebbe cambiata anche la normativa).
I lavoratori marittimi vivono il loro turno di imbarco su di una nave, a volte per molti mesi lontani da casa. Il loro logo di lavoro diventa per quei mesi la loro casa, l’equipaggio diventa una famiglia. La vita di bordo è dura, come se fosse un reality ma senza telecamere: quella del marittimo è una vita, come molte altre, che richiede sacrificio. Il marittimo respira l’ambiente del suo lavoro: e quando c’era l’amianto sulle navi? I marittimi sono stati esposti a questa sostanza? Forse cambia il livello di esposizione all’amianto se l’esposizione avviene in una fabbrica, in un cantiere o in una nave? La domanda è retorica, ma la risposta non può esserlo: la risposta è un’attesa che dura da troppi anni e che questo impegno non può sfuggirci. Non può sfuggirmi. Il lavoro marittimo è un lavoro usurante, lo si capisce da subito salendo su una nave. Questo deve riconosciuto anche a livello legislativo, anche in questo caso non possiamo sottrarci dall’offrire dignità ed equità sociale e professionale a questi lavoratori.
La rotta è tracciata ed il vento, allora, non può che esserci in poppa.
( Servizi di Antonella Losapio, riprese Francesco Di Somma; regia e montaggio Ciro Gaglione per TvCity )
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