Oggi in Senato abbiamo approvato un’altra importante riforma votando la legge delega intitolata “Riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale”. Il provvedimento apporta modifiche alla legge n. 266/1966 in materia di organizzazioni di volontariato, in particolare, prevedendo un nuovo schema normativo all’interno del quale dovranno operare gli Enti del Terzo Settore. Si va dalla definizione delle finalità e dell’oggetto degli Enti di Terzo settore, alla questione della revisione fiscale, al riordino in materia di Servizio Civile Nazionale, al riconoscimento della difesa non armata della patria e l’allargamento agli stranieri con regolare permesso di soggiorno.
Tra le novità quelle relative alleimprese sociali, una delle questioni più spinose della Riforma, nel disegno di legge sono state tuttavia definite solo nelle loro linee generali, poi saranno necessari dei decreti attuativi. L’attuale testo (che viene trasmesso “blindato” alla Camera) prevede un allargamento dei settori, includendo anche forme diverse dalle cooperative mutualistiche, come le Srl e le SpA e ammettendo il concetto di remunerazione del capitale per garantire le finalità benefiche perseguite.
Per approfondire, trovate qui il provvedimento in pillole e qui l’iter e il testo della legge che torna ora all’esame della Camera.
Sono intervenuto mercoledì 18 marzo nel dibattito sui temi del Consiglio Europeo straordinario dedicato ai temi della politica per fronteggiare l’emergenza migrazione. Questo è il resoconto del mio discorso.
Signor Presidente, desidero ringraziare il Presidente del Consiglio, per la sua comunicazione. La questione migratoria rappresenta per l’Italia e per l’Unione europea una grande minaccia e, al tempo stesso, una grande opportunità. La minaccia è quella di consentire alle forze politiche che hanno un progetto contrario e opposto a una più forte integrazione degli Stati membri di approfittare e strumentalizzare una grande tragedia umanitaria dalle dimensioni planetarie, per attaccare, corrodere, disgregare, spezzettare le istituzioni europee, far crescere nuovi steccati, erigere muri e filo spinato e, soprattutto, reintrodurre barriere commerciali, ostacoli al libero scambio delle merci e alla libera circolazione delle persone, riattivare politiche economiche protezionistiche e barriere doganali, nella convinzione che dalla crisi si possa uscire meglio da soli, magari ripristinando una valuta nazionale e facendo leva sulla scorciatoia di una svalutazione, come ai tempi della lira. In altre parole, si vuole tentare la strada della competizione internazionale non attraverso la solidità di un impianto produttivo, della qualità intrinseca delle merci e dei prodotti che produciamo, dell’efficienza dell’apparato amministrativo e giudiziario, ma attraverso la politica “dopata” della svalutazione artificiosa della moneta e, dunque, dei prezzi. Questo è il vero obiettivo politico che viene perseguito dalle forze antieuropeiste, che non a caso sono le stesse che oggi si oppongono, con argomenti fondati sulla paura e sul risentimento, a qualunque politica che miri a regolare i flussi migratori. Per loro vale il detto «tanto peggio, tanto meglio», in quanto appaiono loro chiari i dividendi a breve termine di una speculazione politica, che consente di lucrare consenso, facendo leva proprio sui sentimenti di smarrimento e di legittima preoccupazione, che sentono tanti nostri connazionali, di fronte ad una tragedia umanitaria di così vaste proporzioni. Non stupisce che siano le stesse forze politiche che negli anni passati, governando da destra le istituzioni dell’Unione europea, ne abbiano indebolito la capacità di reazione, ne abbiano favorito la sclerosi burocratica, ne abbiano ridotto all’osso il bilancio; in altre parole ne abbiano favorito e persino determinato l’apparente paralisi decisionale e la miopia sulla visione strategica da adottare, per affrontare una situazione così complessa, come quella delle migrazioni e dei disequilibri macroeconomici tra le diverse aree del Nord e del Sud del mondo.
Il calcolo di queste forze politiche, che come abbiamo visto anche oggi affidano la loro propaganda soprattutto all’insulto, al dileggio, all’offesa personale, ad espressioni truci e volgari, è un calcolo miope, che danneggia gli interessi del nostro Paese. Esse si rendono alleate, non so fino a che punto consapevoli, di quelle forze politiche e finanziarie, ben collocate in alcuni distretti industriali nordeuropei, che vorrebbero assegnare ai Paesi della sponda mediterranea, come l’Italia, la Spagna e la Grecia e alcuni Paesi balcanici, una mera funzione di filtro, un vasto territorio destinato semplicemente a trattenere e disperdere le ondate di migranti provenienti dai Paesi del Maghreb e del Nord Africa. In altre parole, si vuole trasformare l’Italia, che verrebbe ovviamente esclusa dalle zone euro e Schengen, in una specie di Turchia o di Libia; insomma in una zona cuscinetto, atta a proteggere le ben funzionanti e ricche economie dei Paesi nordeuropei.
Questo progetto politico, nemmeno tanto velatamente propugnato da forze che, anche a causa della debolezza e inanità di nostri precedenti Governi, in tutt’altre faccende affaccendati, hanno metodicamente preso il controllo di tutte le leve di controllo e di governo delle istituzioni europee, oggi trova inaspettato appoggio in quelle forze politiche nazionali, che non essendo riuscite a dividere l’Italia, vorrebbero dividere l’Europa; una specie di quinta colonna, gli utili sciocchi che volentieri si prestano ad aiutarle a fare del nostro Paese una realtà politica insignificante e marginale.
Se dunque oggi ci opponiamo a questa politica che vuole disgregare l’Europa, che intende strumentalizzare la tragedia dei migranti per disarticolare le istituzioni europee e reintrodurre le frontiere, non è per ingenuo buonismo, ma perché siamo profondamente convinti che il rafforzamento dell’Unione europea e l’attribuzione ad essa di un ruolo centrale nella politica migratoria corrisponda ad un rafforzamento degli interessi nazionali e dei nostri concittadini. Siamo noi che intendiamo difendere gli italiani, con politiche serie e di lungo raggio e non a colpi di slogan ad effetto più o meno truculenti.
Come dicevo, signor Presidente, la questione migratoria è una grave minaccia, ma anche una grande opportunità per l’Italia e l’Unione europea: quella di dimostrare la perdura
nte vitalità e forza dei valori sui quali esse sono state fondate e sono cresciute, valori che hanno consentito non solo il più lungo periodo di pace di cui abbia mai beneficiato nella sua storia il nostro continente, ma anche il più alto livello di sviluppo economico mai raggiunto.
Oggi vediamo con un certo sgomento verificarsi la profezia di Albert Camus che, parlando metaforicamente della peste ma alludendo all’intolleranza e alla violenza, scriveva: «Egli sapeva, infatti, quello che ignorava la folla e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere e che forse sarebbe venuto il giorno in cui la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice».
L’Europa è stata per molto tempo questa città felice e noi non possiamo permettere che i bacilli del razzismo, dell’intolleranza, della xenofobia, della segregazione, della discriminazione tornino a insudiciare il nostro continente. Segnali preoccupanti giungono anche dai risultati elettorali dei giorni e delle settimane scorse ed è necessario che chiunque abbia animo democratico e amore per la libertà sia vigilante. L’Italia e l’Europa devono essere all’altezza dei loro valori fondativi: unità ne
la diversità è il motto europeo; sono parole scritte con il sudore e con il sangue di tanti cittadini europei che si sono dovuti mettere in cammino e attraversare frontiere in cerca di una esistenza migliore: penso ad esempio ai morti di Marcinelle, dove sessant’anni fa morirono 262 minatori in gran parte italiani. Dovremmo ricominciare da quella memoria per ritrovare il senso del nostro futuro.
L’Europa deve dotarsi non solo di una politica per l’immediato, ma sviluppare una strategia di più ampio respiro, mirata non solo a contenere o regolare l’ondata migratoria ma a normalizzare e governarne i flussi. Occorre innanzitutto abbandonare l’impostazione della legge Bossi-Fini che rende qualunque migrante un clandestino: come si può oggi entrare legalmente in Italia? È praticamente impossibile ed è dunque da ipocriti distinguere tra chi è presente legalmente e chi è clandestino perché è la legge stessa a rendere tutti clandestini.
Soprattutto è necessario ridurre gli enormi squilibri macroeconomici tra le diverse aree del mondo. Nei mesi scorsi a Malta, nel corso del summit a La Valletta, l’Unione europea ha stretto accordi con i Paesi africani da cui fugge o transita la maggior parte dei migranti che dal Continente nero si dirigono verso l’Europa.
Con questo accordo si è voluto compiere un salto di qualità importantissimo nelle relazioni con gli Stati dell’Africa sub-sahariana per una cooperazione rafforzata e più efficace nella lotta contro l’emigrazione irregolare e la tratta di persone nel Mediterraneo. Si sta tentando di creare una sorta di cintura di sicurezza sulle rott
dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori che hanno come destinazione l’Europa: la Horn of Africa migration route, ovvero Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Tunisia. Forse proprio su questo fronte converrebbe concentrare sforzi e impegno, piuttosto che insistere esclusivamente sull’accordo con la Turchia.
Il processo di Khartoum, di cui l’Italia ha sin dall’inizio avuto la regia, oltre a fornire il quadro di riferimento che mancava per una politica strutturata ed un confronto operativo tra l’Unione europea ed i Paesi del Corno d’Africa, ha strutturato un percorso ambizioso teso ad affrontare le cause profonde dell’immigrazione di massa, evidenziando lo stretto legame tra quest’ultima e l’assenza di prospettive di sviluppo. Di fatto la EU-Horn of Africa migration route initiative si propone di controllare questi flussi attraverso intese che prevedono piena collaborazione dagli Stati africani a fronte di investimenti in cooperazione.
Qui però c’è un punto dolente. Governi, o meglio regimi, che sono ritenuti inaffidabili dalle organizzazioni non governative per i diritti umani e che, nonostante il supporto – anche
economico – dell’Unione europea, non sono riusciti a mettere in atto processi di democratizzazione e di inclusione sociale al propr
io interno, possono davvero fermare i flussi migratori? Quali garanzie possono fornire sul rispetto dei diritti dei profughi e su eventuali forme di corruzione nella gestione dei campi?
In conclusione, è necessario prevedere forme di monitoraggio per assicurarsi che gli accordi vengano di fatto rispettati e al tempo stesso operare affinché essi evolvano verso pratiche più rispettose dei fondamentali diritti civili e democratici di quei popoli; un’impresa difficile che solo l’Europa unita può conseguire.
Infine, signor Presidente, mi lasci dire che proprio questa mattina i giornali hanno pubblicato un documento che è stato ritrovato nel quattrocentesimo anniversario della morte di William Shakespeare, il più grande scrittore di tragedie e di commedie del nostro tempo. Shakespe
are scrive come segue (e sembra che lo faccia esattamente per noi): «Se il Re vi bandisse dall’Inghilterra dov’è che andreste? Che sia in Francia o Fiandra, in qualsiasi provincia germa ica, in Spagna o Portogallo, anzi, ovunque non rassomigli all’Inghilterra, orbene, vi troverete per forza a essere degli stranieri. Vi piacerebbe allora trovare una nazione d’indole cosi barbara che, in un’esplosione di violenza e di odio, non vi conceda un posto sulla terra, affili i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole, vi scacciasse come cani, quasi non foste figli e opera di Dio, o che gli elementi non siano tutti appropriati al vostro benessere, ma appartenessero solo a loro? Che ne pensereste di essere trattati così? Questo è ciò che provano gli stranieri. Questa è la vostra disumanità». (Applausi dai Gruppi PD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE).
Circola da alcuni giorni in rete il video abbastanza straordinario: un gruppo di musicisti sta suonando per la strada, proprio sotto la basilica di santa maria Novella, a Firenze. Un luogo di grande splendore artistico che con la sua sola maestosa presenza ispira alla grandezza. Ed ecco che un turista si avvicina al gruppo e chiede di poter suonare insieme a loro. Ne nasce un magnifico ensemble che improvvisa una straordinaria esecuzione delle “Foglie morte” una canzone scritta da Jacques Prevert, musicata da Joseph Kosma e interpretata in modo memorabile da Yves Montand. Una canzone che mi trovo spesso a risuonare nella testa quando cammino, mani in tasca per le strade della mia città.
Sembra che il turista sia in realtà un famoso musicista coreano, dal nome Giu-Hyuk Choi, suonatore di contrabbasso. Ovviamente non so se sia vero ma la magia che ha saputo creare insieme ai suoi improvvisati amici resta un dono incantevole per tutti noi.
Les Feuilles Mortes – testo
Oh, je voudais tant que tu te souviennes Des jours heureux où nous étions amis En ce temps-là la vie était plus belle Et le soleil plus brûlant qu’aujourd’hui.
Les feuilles mortes se ramassent à la pelle Tu vois, je n’ai pas oublié Les feuilles mortes se ramassent à la pelle Les souvenirs et les regrets aussi.
Et le vent du Nord les emporte, Dans la nuit froide de l’oubli. Tu vois je n’ai pas oublié, La chanson que tu me chantais…
Les feuilles mortes se ramassent à la pelle Les souvenirs et les regrets aussi, Mais mon amour silencieux et fidèle Sourit toujours et remercie la vie.
Je t’aimais tant, tu étais si jolie, Comment veux-tu que je t’oublie? En ce temps-là la vie était plus belle Et le soleil plus brûlant qu’aujourd’hui.
Tu étais ma plus douce amie Mais je n’ai que faire des regrets. Et la chanson que tu chantais, Toujours, toujours je l’entendrai.
C’est une chanson qui nous ressemble, Toi tu m’aimais, moi je t’aimais Et nous vivions, tous deux ensemble, Toi qui m’aimais, moi qui t’aimais.
Mais la vie sépare ceux qui s’aiment, Tout doucement, sans faire de bruit Et la mer efface sur le sable Les pas des amants désunis.
C’est une chanson qui nous ressemble, Toi tu m’aimais et je t’aimais Et nous vivions tous deux ensemble, Toi qui m’aimais, moi qui t’aimais.
Mais la vie sépare ceux qui s’aiment, Tout doucement, sans faire de bruit Et la mer efface sur le sable Les pas des amants désunis
Les Feuilles Mortes – traduzione
Oh, vorrei tanto che anche tu ricordassi i giorni felici del nostro amore Com’era più bella la vita E com’era più bruciante il sole Le foglie morte cadono a mucchi… Vedi: non ho dimenticato Le foglie morte cadono a mucchi come i ricordi, e i rimpianti e il vento del nord porta via tutto nella più fredda notte che dimentica Vedi: non ho dimenticato la canzone che mi cantavi
È una canzone che ci somiglia Tu che mi amavi e io ti amavo E vivevamo, noi due, insieme tu che mi amavi io che ti amavo Ma la vita separa chi si ama piano piano senza nessun rumore e il mare cancella sulla sabbia i passi degli amanti divisi
Le foglie morte cadono a mucchi e come loro i ricordi, i rimpianti Ma il mio fedele e silenzioso amore sorride ancora, dice grazie alla vita Ti amavo tanto, eri così bella Come potrei dimenticarti Com’era più bella la vita e com’era più bruciante il sole Eri la mia più dolce amica… Ma non ho ormai che rimpianti E la canzone che tu cantavi la sentirò per sempre
È una canzone che ci somiglia Tu che mi amavi e io ti amavo E vivevamo, noi due, insieme tu che mi amavi io che ti amavo Ma la vita separa chi si ama piano piano senza nessun rumore e il mare cancella sulla sabbia i passi degli amanti divisi
E’ come se fosse stato un appuntamento, per un giorno non precisato, in qualche tempo, là nel futuro, di cui non potevo però che essere intimamente certo che ci sarei andato. Questo è stato il mio viaggio, mi verrebbe da dire il mio pellegrinaggio a Nyeri, in Kenia, sulla tomba di B.-P.
Siamo partiti presto da Nairobi, a bordo di un improbabile furgone appena riparato e ovviamente caduto nuovamente in panne a metà del nostro viaggio con il radiatore che sembrava sul punto di esplodere. Un viaggio verso Nord, attraversando la sconfinata periferia della capitale e poi attraverso una lunga pianura lussureggiante di piante esotiche, di coltivazione di banane vendute a caschi sul ciglio della strada. Piccoli villaggi allineati lungo la strada con le famiglie vestite a festa e in eccitazione mentre si recavano alla funzione religiosa domenicale: canti, danze, sermoni in una liturgia che può durare ore e che a volte sembra (auto)celebrare più la comunità che il mistero del salvatore ma che esprime anche nel sorriso dei bambini che ti fanno posto affianco a loro su malridotte sedie di plastica, il senso di un’accoglienza da noi andato perduto . Una lunga salita verso l’altipiano, il sole brillante, l’arrivo alla casa dove Baden Powell spese gli ultimi anni della sua vita insieme a sua moglie Olave e dove scrisse quel famoso messaggio che ha cambia
to la vita mia e di tanti amici: “lasciate il mondo un po’ meglio di come lo avete trovato”. Infine, il piccolo cimitero, un sentiero di ghiaia, un piccolo recinto di legno con i colori purpurei dello scautismo mondiale, una tomba molto semplice, un silenzio interrotto sole dalle foglie agitate vento. Eccomi dunque giunto qui, quasi sorpreso di trovarmi vicino ai resti mortali di un uomo che ha tanto amato la vita e che ci ha insegnato ad attraversarla a testa alta e con il sorriso sulle labbra (anche quando si vorrebbe piangere). Insieme a me Padre Jacques Gagey, assistente mondiale della CICS, un modo per testimoniare entrambi non solo il nostro grazie personale ma anche quello di tantissimi scout cattolici sparsi per il mondo che forse fino a qui non arriveranno mai ma che guardano a questo luogo alto con amicizia e riconoscenza.
Al termine della visita abbiamo avuto il tempo e il desiderio di andare a rendere omaggio al Sacrario Duca d’Aosta dei soldati italiani (e degli Ascari che avevano combattuto per l’Italia) durante la seconda Guerra Mondiale, la maggior parte dei quali morti in prigionia, uomini che hanno dato la loro vita per il nostro Paese e di cui noi troppo in fretta rischiamo di dimenticarci.
“La Repubblica riconosce il giorno 3 ottobre quale Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, al fine di conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”.
Così recita il primo articolo della legge approvata oggi in Senato che istituisce la “Giornata nazionale per la memoria dei migranti vittime del mare”.
Il 3 ottobre del 2013, davanti all’isola di Lampedusa, persero la vita 366 profughi.
In tutta Italia quel giorno verranno organizzati cerimonie, iniziative e incontri al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica alla solidarietà civile nei confronti dei migranti, al rispetto della dignità umana e del valore della vita di ciascun individuo, all’integrazione e all’accoglienza. Ci saranno anche iniziative nelle scuole, per sensibilizzare e di formare i giovani sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza.
Qui per approfondire, trovate testo e iter del provvedimento.
Questa mattina in Senato abbiamo approvato con modifiche il ddl n. 1738 recante delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace.
La delega, che dovrà essere attuata entro un anno, prevede il riassetto complessivo dell’ordinamento dei magistrati onorari ed un ampliamento significativo delle competenze civili e penali.
Queste le principali novità sul piano ordinamentale:
è prevista un’unica figura di giudice onorario, denominato “giudice onorario di pace”: cade così la distinzione tra giudici onorari di tribunale (i cd. GOT) e i giudici di pace;
i magistrati requirenti onorari (i cd. VPO) saranno inseriti all’interno delle procure in un’articolazione denominata “ufficio dei vice procuratori onorari”;
sono previsti inoltre specifici requisiti di accesso alla magistratura onoraria e cause di incompatibilità;
la durata dell’incarico di magistrato onorario è stabilita in quattro anni, rinnovabile per una sola volta; per chi invece sarà già in servizio all’entrata in vigore del decreto delegato il limite massimo è di quattro quadrienni;
al termine dei due mandati a regime, lo svolgimento delle funzioni di magistrato onorario costituirà titolo preferenziale per l’accesso tramite concorso nella pubblica amministrazione;
il Governo dovrà individuare le fattispecie di illecito disciplinare e regolare il procedimento di applicazione;
sarà riformata la disciplina delle indennità dei magistrati onorari, che sarà composta da una parte fissa e da una parte variabile il cui importo sarà liquidato dal presidente del tribunale e dal procuratore della repubblica in relazione al grado di raggiungimento degli obiettivi da essi fissati annualmente;
sul piano previdenziale dovrà essere individuato e regolato un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica, mediante l’acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull’indennità;
il limite di età per l’incarico di magistrato onorario è fissato in 65 anni.
Sul fronte delle competenze civili le principali novità riguardano:
l’attribuzione dei procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio;
l’attribuzione dei procedimenti di volontaria giurisdizione in materia successoria e di comunione di minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria;
l’estensione della competenza per valore fino a 30 mila euro (dai 5 mila attuali) e per i sinistri stradali fino a 50 mila euro (oggi è 30 mila);
l’assegnazione dei procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose del debitore in possesso di terzi; il giudice di pace dovrà comunque seguire le direttive di un giudice togato indicato dal presidente del tribunale;
la possibilità di decidere secondo equità tutte le cause di valore fino a 2.500 euro (oggi il limite è di 1.100 euro).
Sul piano della competenza penale, saranno attribuite al giudice di pace nuove fattispecie di reato: la minaccia (art. 612, commi 1 e 2 c.p., salvo che sussistano altre circostanze aggravanti), il furto perseguibile a querela (art. 626 c.p.), il rifiuto di prestare le proprie generalità (art. 651 c.p.), l’abbandono di animali (art. 727 c.p.), le contravvenzioni riguardante specie animali e vegetali selvatiche protette (art. 727-bis c.p.) ed i fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari (art. 6 legge n. 283/1962).
Un passo importante che ci allontana dalla giustizia “ad personam” verso una giustizia dalla parte dei cittadini.