Il mio intervento nella discussione generale sulla riforma del Senato – 14 luglio 2014
COCIANCICH (PD). Signor Presidente, ho ascoltato con vivo interesse molti degli interventi che mi hanno preceduto e devo dire che ne sarei rimasto molto colpito se l’Italia fosse una piccola isoletta in mezzo all’Oceano Pacifico, dove tutte le relazioni, industriali o culturali, fossero gestite all’interno di una piccola comunità. Purtroppo, o per fortuna, non è così. l’Italia è un grande Paese industriale, manifatturiero, un Paese che ha una dimensione finanziaria importante ed è un attore importante all’interno del commercio internazionale.
Oggi viviamo una profonda crisi economica derivante da un fatto che ha una dimensione globale: oggi gli investimenti vengono effettuati in Paesi dove sono più vantaggiose le condizioni del mondo del lavoro, dove c’è una maggiore efficienza della macchina burocratica e amministrativa e dove la giustizia è maggiormente efficiente.
L’Italia, tra i Paesi di democrazia occidentale, è rimasta l’ultima, la meno efficiente, la più trascurata dal punto di vista degli investimenti stranieri e, pertanto, quella in cui la crisi del lavoro si sente con maggior pesantezza. Tutti oggi si riempiono la bocca sostenendo che vogliono pensare a quello che è veramente importante, cioè ridare lavoro ai nostri giovani e a chi l’ha perduto, ma ci si dimentica del fatto che l’Italia oggi viene trascurata dai grandi investitori internazionali e quindi rimaniamo marginali nel traffico commerciale e industriale del mondo occidentale.
Questo perché le nostre istituzioni sono ormai arrugginite, incapaci di rispondere alle sfide poste. Quindi, riformare le nostre istituzioni non è l’idea balzana di un giovane dittatorello, come in qualche modo Renzi viene dipinto da chi mi ha preceduto, ma è invece la consapevolezza che oggi tale riforma è una partita necessaria per ridare slancio alla nostra economia, senza la quale qualunque speranza di ridare forza al mondo del lavoro, di ridare ricchezza ai nostri concittadini risulta una mera chimera.
Nel disegno di legge presentato questa mattina c’è un elemento che è stato messo poco in evidenza ma che vorrei sottolineare: la dimensione europea della riforma. L’articolo 55, come modificato dal lavoro della Commissione, sottolinea l’aspetto che vorrei commentare: oggi al Senato verrà riconosciuta anche una funzione di raccordo tra le istituzioni europee e le nostre istituzioni nazionali e locali. Questo è un nodo fondamentale, perché l’Europa, che considero l’unica possibile risposta alla grande crisi economica che ci attanaglia, oggi è il nostro contenitore, il nostro orizzonte fondamentale, anche dal punto di vista istituzionale. Tutti oggi parlano di un bicameralismo perfetto che si vuole modificare. Pochi si rendono conto, mi sembra, che in realtà oggi non siamo in un bicameralismo, ma stiamo vivendo in un sistema molto più articolato che qualche volta, un po’ per ridere, ho definito tricameralismo imperfetto, perché ci sono anche le istituzioni europee. In realtà, la situazione è ancora più complessa perché a livello europeo non abbiamo soltanto il Parlamento, ma anche il Consiglio e la Commissione europei. Esiste una dinamica interna tra le istituzioni europee che deve essere tenuta in considerazione. Si tratta di istituzioni che non erano presenti quando i nostri Padri costituenti hanno elaborato la Costituzione che oggi vogliamo modificare, perché all’epoca non esisteva neanche la Comunità europea. Oggi parliamo di Unione europea con 28 membri e con un sistema legislativo estremamente articolato. Attualmente esiste un deficit di democrazia a livello europeo, perché le decisioni vengono prese non prioritariamente con il sistema comunitario, quindi con il coinvolgimento dei rappresentanti dei diversi Paesi membri all’interno del Parlamento europeo, ma con un sistema di natura intergovernativa.
Il famoso fiscal compact, per esempio, è l’attuazione di un sistema intergovernativo di cooperazione rafforzata. È su questo sistema che oggi dobbiamo riuscire ad incidere se vogliamo davvero che il principio di democrazia, di rappresentatività e di partecipazione dei nostri cittadini abbia voce. Rischiamo di puntare alla luna ma di guardare solo il dito, se pensiamo che sia soltanto un problema di rapporto tra Senato e Camera e tra Senato e Governo. Oggi i giochi importanti, le decisioni fondamentali per il nostro futuro si prendono più a Bruxelles che a Roma. Il 70 per cento della normativa in vigore in Italia ha origine comunitaria, anzi europea e non sempre ha un’origine di natura parlamentare. È dunque importante che le istituzioni parlamentari italiane facciano sentire la propria voce nel dibattito che avviene a Bruxelles, a livello europeo, tra i diversi Governi.
Un Senato che si occupi di questioni europee, che abbia una funzione di raccordo tra l’Unione europea e le Regioni svolgerà questa funzione fondamentale, che mi sembra molto meno secondaria rispetto ad un dibattito velleitario sull’importanza o meno di avere un’indennità, di avere un Senato eletto con un sistema di primo o secondo grado. Questi, a mio avviso, sono dettagli rispetto alle grandi sfide che dobbiamo affrontare.
Oggi dobbiamo fare in modo che la voce dei cittadini italiani, la voce delle imprese italiane, la voce degli interessi italiani possa riecheggiare con forza davanti alle istituzioni europee. Oggi il Parlamento italiano, dopo il Trattato di Lisbona, ha voce in capitolo e deve farla sentire. Purtroppo la farraginosità delle nostre procedure, l’eterno ritardo dei nostri interventi fa sì che la voce del Parlamento italiano venga considerata in qualche modo marginale, irrilevante. I pareri dati non vengono considerati: chiunque sia andato a Bruxelles a fare un giro vede con quanta aria di sufficienza vengono giudicate le considerazioni del Parlamento italiano, per il motivo che arrivano sempre in ritardo, sono sempre capziose, non focalizzano i problemi.
Noi dobbiamo dotarci, invece, di un Parlamento in grado di affrontare i problemi, capace di avere piani di impatto e schemi sulla base dei quali comprendere la ricaduta economica e sociale di determinate misure finanziarie, e di saper reagire e portare la propria voce, in fase sia ascendente che discendente, in modo corrispondente.
Mi sembra che questa sia la grande sfida di natura democratica che noi ci poniamo, perché oggi dobbiamo ritrovare la forza di una voce che in questo momento è assai fioca.
Sono, dunque, grato ai relatori che hanno accolto l’indicazione pervenuta (che anch’io ho dato) di aprire uno spiraglio sul tema europeo. Credo che l’affermazione di principio, oggi contenuta nell’articolo 55, ci consentirà di lavorare, spero già in una ulteriore fase emendativa del testo del disegno di legge costituzionale, ma anche in fase di norme di attuazione in via ordinaria, su una riforma della legge n. 234 del 2012, al fine di fornire strumenti concreti per avere una più forte influenza a livello europeo. Ripeto che questo è il vero scenario su cui noi ci misuriamo.
In conclusione, ritengo che quella che ci viene offerta sia un’opportunità storica veramente straordinaria. Non ho alcun senso di inferiorità rispetto ai grandi Padri costituenti che ci hanno preceduto e credo che nessuno di noi debba averlo, non perché siamo chissà quali grandi giuristi (personalmente mi considero come un nano sulle spalle di giganti), ma perché questo è il nostro tempo; se i nostri Padri costituenti si fossero sentiti in soggezione di fronte a Giustiniano, probabilmente saremmo ancora alla legislazione del diritto romano. Ripeto che oggi è il nostro tempo: dobbiamo coglierlo e fare del nostro meglio per cercare di ridare voce ai nostri interessi e anche un po’ di voce di speranza e di idealità di un’Europa che in questo momento è troppo centrata sugli aspetti di natura economica.
L’Italia ha questa voce, questa idea e questo patrimonio, ma non ha la capacità di esprimerli in un’azione politica efficace. Sottolineo, dunque, la dimensione di raccordo tra l’Unione europea e le Regioni, che sono direttamente interlocutrici (anche in base ai trattati europei) dell’Unione europea, hanno un ruolo ed il modo di far sentire le voci delle istituzioni locali e dei cittadini a livello territoriale. Credo che il Parlamento farà una sintesi – spero anche corale – di tutto questo, che darà forza e prestigio al nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
Qui l’intervento in formato pdf